Paolo Borsellino era convinto che il procuratore di Palermo, Pietro Giammanco, fosse un “infedele” voleva “farlo arrestare“. E ancora: dopo la strage di Capaci il giudice ucciso il 19 luglio del 1992 “aveva appreso delle cose tremende“. Lo ha raccontato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e avvocato anche di Manfredi e Fiammetta, parlando davanti alla Commissione parlamentare Antimafia. Il legale ha concluso oggi la sua audizione, cominciata la scorsa settimana. Sia lui che Lucia Borsellino saranno nuovamente auditi per rispondere alle domande dei parlamentari di Palazzo San Macuto.

Trizzino ha raccontato il contenuto di un incontro avuto da Borsellino con Maria Falcone e Alfredo Morvillo, rispettivamente sorella e fratello di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. I due chiedevano il motivo che aveva portato il giudice ucciso nella strage di Capaci a lasciare Palermo. “State calmi perchè sto scoprendo cose tremende“, rispose Borsellino, che secondo l’avvocato “aveva scoperto qualcosa tremendo sul conto del suo capo. Si parla contrasti e circostanze talmente gravi che lo hanno convinto che quel suo capo era un infedele”. E ancora, ha proseguito Trizzino, Borsellino aveva detto “al maresciallo Canale che voleva arrestare Giammanco o far arrestare Giammanco”. Poi “incontra segretamente Mori e De Donno”e viene a sapere di “circostanze talmente gravi che lo hanno rafforzato nel convincimento che quel capo era un infedele” e con lui “interrompe il flusso completo delle comunicazioni“. Il riferimento è all’incontro avuto dal magistrato poi ucciso nella strage di via d’Amelio con i due ufficiali del Ros, all’interno della caserma Carini di Palermo, il pomeriggio del 25 giugno 1992.

L’oggetto del faccia a faccia tra i carabinieri e Borsellino è stato al centro di molteplici processi, in cui le parti in causa hanno sempre riportato versioni diverse. “Fu un incontro carbonaro, rapido e lui andrò dritto al punto: voleva approfondire l’inchiesta su appalti e mafia, aggiungendo ai due carabinieri ‘voi dovete riferire solo a me‘, ha sostenuto oggi Trizzino. Il marito di Lucia Borsellino, come è noto, condivide quando hanno sempre sostenuto Mori e De Donno: quel giorno il giudice chiese loro informazioni sul dossier Mafia e appalti, cioè l’indagine alla quale Trizzino ha fatto più volte riferimento durante la prima parte della sua audizione, indicandola come il movente coperto dietro alla strage di via d’Amelio. In passato, però, il contenuto di quell’incontro è stato messo in dubbio da alcuni testimoni. Come il maresciallo Carmelo Canale, storico collaboratore di Borsellino, ha raccontato che era stato lui a organizzare l’appuntamento alla caserma Carini, su richiesta espressa del magistrato. A sentire Canale, però, Borsellino voleva discutere con Mori e De Donno del cosiddetto Corvo 2, un anonimo di otto cartelle in cui si narrava di un fantomatico incontro segreto tra l’ex ministro Calogero Mannino e Totò Riina. Quell’anonimo era stato rivendicato anche dalla Falange Armata, l’oscura sigla del terrore che compare sullo sfondo delle stragi, e aveva acceso l’interesse di Borsellino: nonostante processualmente non avesse alcun valore, tratteggiava una sorta di dialogo in corso tra politici e Cosa nostra.

Di sicuro c’è solo che dopo aver incontrato i carabinieri il giudice si reca a un’incontro nella biblioteca di casa Professa dove pronuncia quello che sarà il suo ultimo discorso pubblico. È un intervento duro, durante il quale Borsellino dice che in quel momento “oltre a essere magistrato” è anche un “testimone” della morte dell’amico Falcone. “Avendo raccolto tante sue confidenze questi elementi che io porto dentro di me, devo per prima cosa riassemblarli all’autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili”, spiegava, dopo aver citato i diari di Falcone, pubblicati sui giornali in quei giorni: sono appunti in cui il magistrato ucciso a Capaci raccontava i comportamenti subiti da Giammanco, che lo aveva isolato all’interno della procura di Palermo. “Io – diceva Borsellino – questa sera debbo astenermi dal riferire circostanze che probabilmente molti di voi si aspettano che io riferisca. A cominciare da quelle che in questi giorni sono arrivate sui giornali e che riguardano i cosiddetti diari di Giovanni Falcone. Per prima ne parlerò all’autorità giudiziaria, poi se dà il caso ne parlerò in pubblico. Posso dire soltanto che questi appunti io li avevo letti in vita di Giovanni Falcone. Sono proprio appunti di Giovanni Falcone” .

Oggi l’avvocato Trizzino ha chiesto alla commissione Antimafia di acquisire “le annotazioni del diario di Giovanni Falcone, che non sono 14 ma 39″. Poi si è congedato spiegando ai parlamentari di avere “un conflitto d’interesse di tipo emotivo. Noi non viviamo più: in questa situazione è del tutto impossibile l’elaborazione del lutto per noi”. Trizzino ha spiegato che i familiari “vogliono cercare la verità per una questione di dignità e di impegno. Le nuove generazioni della famiglia anziché cercare di vivere la propria vita, sono costrette a impegnarsi nella ricerca della verità che non è semplice”.

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