“Sono una mamma divorziata, con una figlia, che ha investito molto per aprire due canapa shop, uno a Milano e uno a Segrate per costruire un futuro a partire da una pianta dai mille benefici. Sono disperata. Sono spaventata sia dagli effetti economici che questo decreto avrà sulla nostra attività, sia per come il nostro Paese considera la canapa, che nel resto del mondo si sta affermando sempre di più come una risorsa mentre da noi viene sempre osteggiata”.
E’ la testimonianza di Annalisa Parini, ingegnere, nonché una delle centinaia di imprenditori che in questi anni in Italia hanno investito nel mondo della canapa, e che oggi rischiano di vedere le proprie attività compromesse a causa di un decreto che entrato in vigore il 21 settembre che inserisce le composizioni orali di origine naturale a base di CBD – molecola non psicotropa della cannabis dalle note proprietà terapeutiche di antinfiammatorio, antidolorifico e antiepilettico per citare le principali – nella tabella dei medicinali stupefacenti.
Parliamo di una molecola che ad oggi è presente in farmaci come Epidiolex e Sativex, indicati per epilessia e sclerosi multipla, ma che negli Stati Uniti è presente in centinaia di prodotti che spaziano da acqua e bibite, passando per integratori e alimenti fino ad arrivare a caramelle e gomme da masticare. Se quindi da una parte viene prescritta a pazienti con patologie complesse e invalidanti, dall’altra viene utilizzata in cosmetica, così come nel settore del wellness più in generale o in quello sportivo per favorire il recupero.
E in Italia anche gli stessi pazienti sono preoccupati: accanto a quelli che accedevano al CBD tramite le farmacie e dietro prescrizione, ce ne sono molti che invece lo compravano direttamente in canapa shop, tabaccai ed erboristerie o sui relativi siti internet. “In uno dei miei negozi vendevo molti oli anche ai pazienti – conferma infatti Annalisa – che venivano mandati qui sia dai medici di un vicino ospedale, sia da medici di base della zona o da altri pazienti che avevano condiviso i benefici ottenuti”.
Un po’ di chiarezza
Il decreto riguarda solo le preparazioni orali a base di CBD naturale (oli, capsule, estratti, etc…) che d’ora in avanti saranno acquistabili solo in farmacia dietro presentazione di ricetta medica. Restano esclusi dal provvedimento sia le preparazioni ottenute da CBD sintetico, sia i prodotti con CBD ad uso cosmetico, autorizzati da tempo dall’Unione Europea.
E nemmeno la cannabis light viene contemplata dal decreto. Nonostante l’uso umano delle infiorescenze non sia mai stato normato, lasciando il prodotto in una zona grigia, non bisogna dimenticare che nel febbraio scorso con la sentenza 02613/2023 il TAR del Lazio ha confermato la liceità dell’uso delle parti apicali della pianta, e quindi dei fiori di canapa, in base alla legge 242 del 2016 e alle normative comunitarie e internazionali.
Una questione di regolamentazione
Mentre il business del cannabidiolo (CBD) non accenna a fermarsi, con gli analisti di Grand View Research che hanno valutato il mercato globale del 2022 in 6,4 miliardi di dollari e immaginano un tasso di crescita annuale composto del 16,3 per cento fino al 2030, non si può non sottolineare che una regolamentazione di questi prodotti fosse necessaria, soprattutto per quanto riguarda l’uso medico e quindi nell’ottica di dare garanzia ai pazienti di un prodotto di qualità. Le stesse associazioni italiane e molti professionisti del settore sanitario lo chiedono da tempo.
Il punto è che, però, si sarebbe potuto procedere in modi diversi, ad esempio indicando una percentuale – per molti esperti indentificata nel 10% – sopra la quale il prodotto venga considerato farmaco, e sotto la quale invece un prodotto in libera vendita. Così si sarebbe creata una distinzione netta, senza affossare il mercato degli oli che in questi anni sonno sempre stati sul mercato pur in assenza di una regolamentazione formale. Anche perché è stata nientemeno che l’OMS, nel 2020, a chiarire che i prodotti a base di CBD non possono essere considerati stupefacenti e suggerendo agli stati membri di non inserire in nessuna tabella quelli contenenti CBD e con THC fino allo 0,2%.
La beffa: vietato in negozio, si compra su Amazon
Che il legislatore si muovesse su un terreno complicato con il rischio di situazioni paradossali si era capito già in corso d’opera, quando emerse il caso della startup di delivery di cannabis legale che era stata finanziata dallo Stato e che lo steso Stato dichiara ora illegale. Ma ce n’è uno che rischia di fare ben più male all’economia di una filiera giovane che andava strutturandosi rapidamente.
Il rischio ulteriore è quello di alimentare il mercato estero a scapito di quello italiano, visto che la Corte di Giustizia europea si è espressa sul tema, sempre nel 2020, con una storica sentenza che conferma che “il CBD non può essere considerato come uno stupefacente” e aggiunge che “uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi”.
Ad oggi infatti, mentre i negozianti italiani hanno tolto gli oli dagli scaffali, gli stessi identici prodotti sonno disponibili su Amazon e molte altre piattaforme. Una possibilità concreta che le cose possano cambiare in futuro arriva dall’Unione Europea, dove è in stallo la procedura per fare in modo che i prodotti alimentari e integratori che contengono la molecola derivata dalla cannabis, possano essere iscritti nel registro dei Novel food. Il processo si è arenato presso la Commissione europea che nell’estate del 2022 ha chiesto più tempo per effettuare nuovi studi.
Un processo che è in corso anche nel Regno Unito, dove però è stato concesso ai prodotti che erano già in commercio prima dell’iter – iniziato nel 2020 – di rimanere sugli scaffali dei negozi. In Gran Bretagna già oggi è dunque possibile acquistare integratori e cibi contenenti CBD, ma, nonostante questo e vista la lentezza nel completare l’iter legislativo per accettare nuove domande per nuovi prodotti, è stata lanciata la campagna SaveOurCBD, con un appello alle istituzioni. Secondo gli attivisti d’oltremanica, l’incertezza nel settore mette a rischio di chiusura almeno 400 fornitori di CBD e minaccia un mercato del valore di circa 690 milioni di sterline.
Le associazioni italiane al contrattacco
In Italia le prime reazioni sono arrivate da due associazioni del settore della canapa industriale. La ICI (Imprenditori Canapa Italia) ha annunciato di aver già dato mandato a uno studio legale di studiare la documentazione per impugnare il decreto.
Canapa Sativa Italia, invece, ha lanciato la campagna “Salviamo la canapa italiana” prevedendo di fare ricorso al Consiglio di Stato per farlo esprimere sull’uso officinale della canapa, e per fare ricorso nei confronti del decreto del ministero della Salute immaginando, a seconda di come andrà la campagna, di commissionare degli studi scientifici. Ad oggi sono già stati raccolti più di 40mila euro sui 100mila posti come obiettivo.