La sua inventiva è tanta e tale da portarlo a disegnare capi notevoli per due brand molto diversi tra loro per storia e vocazione: Loewe, di cui è direttore creativo, e JW Anderson, il marchio da lui fondato e che porta il suo nome
La moda è una forma d’arte. Lo sa bene Jonathan Anderson, che non a caso lo scorso marzo ha ricevuto il premio Neiman Marcus Award per l’impatto creativo nel campo della moda. La sua inventiva è tanta e tale da portarlo a disegnare capi notevoli per due brand molto diversi tra loro per storia e vocazione: Loewe, di cui è direttore creativo, e JW Anderson, il marchio da lui fondato e che porta il suo nome. Da Karl Lagerfeld a Alexander McQueen, Tom Ford e John Galliano, in passato sono stati molti i designer che come lui si sono “sdoppiati” portando avanti in parallelo una grossa casa di moda e la propria etichetta, ma lo stilista irlandese classe 1984 si sta facendo notare per l’equilibrio e la coerenza con cui porta avanti questo percorso parallelo. Sempre attento ai desideri dei clienti e, al tempo stesso, culturalmente rilevante. La conferma è arrivata – se mai ce ne fosse bisogno – alla Fashion Week di Parigi, dove gli addetti ai lavori hanno avuto modo di vedere entrambe le sue nuove collezioni, quella di JW Anderson che ha sfilato a Londra durante la settimana della moda britannica ed è stata riproposta con una presentazione, e quella di Loewe presentata venerdì 29 settembre.
D’altra parte, in dieci anni Anderson ha trasformato la casa di moda spagnola, conosciuta in tutto il mondo per la produzione di accessori di lusso e di proprietà del Gruppo LVMH, in uno in uno dei marchi più amati dalle nuove generazioni. Se la passerella è diventata un palcoscenico su cui i creativi mettono in scena la loro personale visione, la tentazione di spingersi all’estremo, come abbiamo visto nella Ville Lumiere in più di un defilé, Marni e Undercover solo per citarne alcuni, spesso la fa da padrona. Gli stilisti probabilmente rassicurati dal fatto che in negozio non saranno presenti le creazioni più eccentriche, ma la loro versione edulcorata piegata alle logiche di mercato e al gusto contemporaneo dei consumatori, a volte si lasciano prendere la mano e presentano capi pensati più per essere visti sui red carpet che non per strada. In questo periodo questa netta divisione tra quello che sfila e quello che è presente sugli scaffali piace poco ai giovani consumatori, che oggi sono molto più consapevoli e informati, grazie anche ai social, e che hanno decretato Loewe uno dei marchi più interessanti del momento.
Due settimane fa alla Roundhouse di Londra, Anderson ha presentato la sua nuova collezione P/E 24, riproposta poi anche a Parigi con una presentazione. In un enorme spazio bianco hanno preso vita le creazioni sperimentali di Anderson, una sfida continua alle convenzioni e la dimostrazione che basta poco per trasformare il quotidiano in qualcosa di straordinario. Felpe e bermuda in (vera!) plastilina colorata, bomber oversize da cui spuntano grandi piume, pantaloni cargo dalla vita alta, vestitini tricot, piccoli top imbottiti che sembrano sacchetti di plastica, abiti lunghi incrociati e drappeggiati sul corpo. Il gioco è stato il filo conduttore di questa sfilata eclettica, presente in una collezione di capi essenziali per il guardaroba quotidiano ma rivisitati in modo inaspettato. Un invito, quello di Anderson, a giocare con la moda senza prendersi troppo sul serio puntando su colori accesi, silhouette inaspettate e accessori funzionali; con look che attingevano direttamente dalla fantasia di lui bambino.
Ha sfilato invece allo Château de Vincennes la nuova collezione Primavera-Estate 24 di Loewe. Nei saloni principali del castello trasformati per l’occasione in una galleria d’arte troneggiano le sei sculture in bronzo di Lynda Benglis, artista che ha collaborato con lo stilista inglese anche alla realizzazione dei gioielli. Le opere sono fusioni in scala ingrandita di una serie di sculture in argilla che Benglis ha intitolato Elephant Necklace e che riflettono la luce in modi drammaticamente diversi, creando un paesaggio mutevole di effetti visivi.
Lo stilista con questa collezione crea una nuova silhouette verticale concentrandosi sulle linee, gioca con le sezioni, altera le proporzioni. Una collezione a prima vista pragmatica, ma spiazzante nella sua totalità dove il guardaroba borghese viene sovvertito, i dettagli enfatizzati e gli accessori giocano un ruolo essenziale. La maglieria si fa materica nei maglioni corti e voluminosi o nelle lunghe cappe tricot dai grossi bottoni dorati. La nappa diventa una seconda pelle nella versione sartoriale nei lunghi cappotti rigorosi. E poi blazer, camicie, top gioiello, che in realtà sono ammassi di spille, e infine i pantaloni a vita altissima che esaltano la figura e si indossano con camicie maschili. Gli anelli, i bracciali, gli orecchini e i ciondoli creati da Lynda Benglis divengono piccole sculture che riflettono la luce come anche le ballerine tempestate di cristalli.
La palette sceglie i toni tenui del cammello, del grigio, del marrone, del nero con accenti di rosso, bouganville e mandarino. Tutto è spontaneo e vero, pronto per essere indossato in strada come ad un vernissage perché quello che conta, sembra suggerirci Anderson, non è il capo in sé ma l’attitudine con cui scegliamo di indossarlo esattamente come se fosse un’opera d’arte che riflette la luce e il mondo mutevole che ci circonda.