Avrebbe attuato, fra gli anni Sessanta e Settanta, una campagna di contraccezione forzata per limitare la natalità in Groenlandia e risparmiare sul welfare: adesso, a oltre mezzo secolo di distanza da quegli eventi, la Danimarca ha ricevuto una richiesta di risarcimento da parte di 67 donne di etnia inuit nate nell’ex colonia artica. Ciascuna di loro ha chiesto al governo danese 300mila corone, l’equivalente di circa 40mila euro, minacciando di fargli causa se non dovesse accettare. Si tratta comunque solo di una piccola parte delle migliaia di donne a cui sarebbe stata impiantata la spirale contraccettiva senza consenso e senza ricevere quasi nessuna cura negli anni seguenti. Molte di loro non sarebbero mai riuscite ad avere figli e avrebbero avuto per anni dolori acuti, emorragie interne e infezioni addominali. Qualcuna sarebbe stata persino sottoposta a isterectomia.

Il piano di Copenaghen, chiamato ‘Danish coil campaign’, sarebbe riuscito in pochi anni a dimezzare il tasso di natalità dell’isola che fra gli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta sperimentò un vero e proprio boom delle nascite, finché nel 1970 si raggiunse il raddoppio della popolazione dell’isola. Quel boom era dovuto ai piani di modernizzazione del governo, che avevano migliorato il sistema sanitario groenlandese riducendo malattie e mortalità infantile in un periodo in cui la Groenlandia, territorio danese dal 1814, aveva appena cessato di essere una colonia per diventare nel 1953 parte integrante del Regno di Danimarca.

Il piano di controllo delle nascite divenne di dominio pubblico nel 2017, quando la psicologa e attivista Naja Lyberth, una delle donne che ora ha chiesto il risarcimento, rivelò che nel 1976, quando aveva appena 13 anni, le fu impiantato un dispositivo contraccettivo dopo una visita medica a scuola. Nessuno le spiegò cosa fosse quell’oggetto, nessuno chiese il consenso suo o dei suoi genitori, e lo stesso accadde con altre compagne di classe. La questione si impose poi all’attenzione dell’opinione pubblica danese nel 2022, grazie al podcast Spiralkampagnen (“la campagna della spirale”), prodotto dalla tv pubblica danese e trasmesso anche in radio.

Fra le altre cose, nel podcast venivano riportati alcuni documenti degli archivi nazionali secondo cui, fra il 1966 e il 1970, la spirale contraccettiva fu impiantata a circa 4.500 inuit, alcune delle quali minori di 12 anni: un numero più o meno equivalente alla metà delle donne fertili in Groenlandia. La pratica sarebbe poi continuata negli anni Settanta, non solo in Groenlandia, ma anche in Danimarca, tra gli studenti della comunità. E alla spirale si sarebbero aggiunte altre misure discriminatorie: ad esempio, nel 1951 il governo avrebbe sottratto 22 bambini inuit alle loro famiglie al fine di condurre una sorta di esperimento sociale. Le scuse, tardive, sarebbero arrivate solo nel 2020.

Dopo l’uscita del podcast, il governo danese e il Naalakkersuisut, il governo autonomo della Groenlandia, hanno istituito una commissione di indagine indipendente: il suo compito sarà quello di approfondire le pratiche contraccettive praticate nell’isola dal 1960 al 1991, anno in cui il territorio artico ottenne il controllo del proprio sistema sanitario. Partita con molto ritardo, la commissione ha iniziato i suoi lavori nel maggio del 2023, mentre le conclusioni dovrebbero arrivare nella primavera del 2025. “Non vogliamo aspettare i risultati dell’indagine”, ha dichiarato Naja Lyberth. “Stiamo invecchiando: le più anziane tra noi, che avevano la spirale negli anni Sessanta, sono nate negli anni Quaranta e si avvicinano agli 80 anni. Vogliamo agire ora”.

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