Il dietrofront del presidente tunisino Kais Saied sull’offerta di partenariato proposta dall’Unione europea ha generato imbarazzo tra le file del governo italiano e dell’esecutivo di Bruxelles, “sorpresi” di una posizione poco chiara della controparte tunisina. I socialisti europei, che hanno sempre visto con scetticismo il memorandum d’intesa, criticano la decisione di Tunisi spiegando che l’Europa non ha bisogno di “accordi con regimi come la Tunisia”. I popolari invece vedono nel memorandum l’unica soluzione alla crisi migratoria, spiegando che “non ci sono alternative”. Nessuno però sembra voler capire i complessi motivi che hanno spinto il governo tunisino a non voler proseguire nelle trattative. Per l’ex ministro del Lavoro tunisino Faouzi Abderrahmane “il dietrofront è soprattutto europeo” in quanto agli occhi del presidente tunisino c’è stato un “inganno” rispetto agli accordi di luglio: “Meloni ha giocato un gioco poco corretto nel suggerire che dalla conferenza di Roma si sarebbe arrivati ad un approccio globale e più ragionato alla questione migratoria” quando poi si è sempre “considerato nei fatti la Tunisia come ad un allargamento di Frontex”, come ha sempre sostenuto Saied.
Il mensile francese Jeune Afrique, dando una delucidazione sui perché del ripensamento di Saied, spiega che “l’atteggiamento dell’Italia – o più precisamente di Giorgia Meloni e del suo capo della diplomazia, Antonio Tajani – abbia finito per infastidire Tunisi”. Nell’articolo si legge infatti che, “volendo imporre le proprie opinioni, talvolta parlando al posto dei paesi africani, Roma avrebbe interferito un po’ troppo spesso negli affari interni dei suoi partner”. Un esempio può essere la dichiarazione del ministro degli Esteri Tajani che, in un’audizione alle commissioni riunite Esteri di Senato e Camera del marzo scorso, evidenziava “la porosità delle frontiere tunisine”, con molti migranti che arrivano dalla Costa d’Avorio. Il ministro aveva quindi suggerito la necessità che la Tunisia richieda un visto a chi viene dai Paesi dell’Africa subsahariana, una questione che però riguarda solo le relazioni bilaterali tra quei Paesi. Oppure ancora quando lo stesso vicepremier ha preso una posizione forte, di concerto con Meloni, nel voler convincere il Fondo monetario internazionale a concedere a Tunisi il prestito di 1,9 miliardi di dollari (congelato dall’organizzazione internazionale perché Saied rifiuta le riforme chieste in cambio), trattando per Tunisi e il suo governo. Ghazi Ben Ahmed, presidente del think tank Mediterranean Development Initiative, spiega quindi che “il rifiuto della Tunisia di aderire ai dettami dell’Ue è un affronto a Giorgia Meloni e all’estrema destra italiana, che passano di fallimento in fallimento”. “La Meloni è troppo impulsiva e incapace di trovare soluzioni a medio e lungo termine” e questo “gli europei dovranno ricordarselo alle prossime elezioni”, conclude Ben Ahmed.
Le cose sono poi peggiorate ulteriormente a partire dal 17 settembre scorso, quando la premier italiana e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen hanno presentato a Lampedusa un “piano in dieci punti” in cui si descrive la “possibilità di un accordo di lavoro tra la Tunisia e Frontex e una task force di coordinamento all’interno di Europol incentrata sulla lotta al traffico di migranti lungo la rotta verso la Tunisia e poi verso Lampedusa”. Fonti diplomatiche europee hanno poi parlato anche della possibilità dell’istituzione di un’area di ricerca e salvataggio (area Sar) nelle acque tunisine, tutti temi non trattati negli accordi preliminari che hanno portato al memorandum d’intesa di luglio.
Sulla stessa linea poi il presidente francese Emmanuel Macron ha dato il suo esplicito sostegno a Giorgia Meloni e ha dichiarato, in un’intervista trasmessa il 24 settembre, di voler condizionare l’aiuto di bilancio fornito ai tunisini offrendo, in cambio dei soldi, “esperti e attrezzature per smantellare le reti di trafficanti”. Il giorno successivo Kais Saied ha incaricato il suo ministro degli Esteri di “informare la parte europea” della sua “decisione di rinviare a data da destinarsi la visita prevista da una delegazione della Commissione europea in Tunisia” spiegando poi, il 2 ottobre, che la Tunisia non vuole “l’elemosina” ma esige il “rispetto”, allarmando quindi le istituzioni di Roma e Bruxelles su una potenziale uscita unilaterale dal memorandum.
Diversi media, ong e partiti politici tunisini (anche di opposizione) hanno poi denunciato le parole di Macron e il piano europeo presentato a Lampedusa come “un attacco alla sovranità nazionale”, etichettando le dichiarazioni e le decisioni europee come frutto di una “mentalità colonialista”. “La situazione è così complessa che è difficile azzardare a prevederne l’esito”, scrive in un editoriale Zyed Krichen, direttore del quotidiano tunisino Maghreb. Per uscire dalla crisi, Ghazi Ben Ahmed ritiene invece che “è tempo di tornare all’Accordo di Associazione (del 1998, ndr), dopo i fallimenti del memorandum d’intesa e dell’accordo in dieci punti di Lampedusa. La Tunisia ha bisogno di una vera soluzione europea, una soluzione globale”.