“Il personale è politico”. Così recitava lo slogan riassunto dalla femminista Carol Hanisch nel 1970. Oggetto di svariate interpretazioni, in realtà il suo significato è riassumibile con quanto recitava il manifesto studentesco di Port Huron: “È tempo di riaffermare il personale. Una nuova sinistra deve dare forma a sentimenti di impotenza e indifferenza in modo che le persone possano vedere le origini politiche, sociali ed economiche dei loro problemi privati e organizzarsi per cambiare la società”.
Insomma, la donna maltrattata in casa, oltre ad avere un problema indubbiamente personale, deve rendersi conto che subisce quella situazione poiché vive dentro un sistema patriarcale, che relega la sua figura a un ruolo subordinato. Oppure la persona di colore che subisce discriminazioni, oltre a patire ciò individualmente, deve rendersi conto che è vittima di una società razzista.
Il testo di riferimento per questa idea della connessione fra personale e politico era L’immaginazione sociologica di Charles Wright Mills, il sociologo americano che promuoveva l’immaginazione sociale come strumento individuale con cui “focalizzare la nostra attenzione sulla sfera pubblica, quando cerchiamo di risolvere i nostri problemi”.
In sostanza, i nostri problemi quotidiani non sono mai soltanto nostri, ma vanno inquadrati in una visione sociale di insieme, così da comprendere che i problemi personali sono anche il frutto di un sistema sociale e promuovere un cambiamento politico che possa agire per affrontare quei medesimi problemi su un piano collettivo. Un circolo virtuoso, per così dire.
Questa visione ha più o meno funzionato alla fine del secolo scorso, rendendo possibili delle forme di emancipazione individuale e sociale che sono sotto gli occhi di tutti, pur con i limiti che ancora permangono. Il fatto è che oggi quel circolo virtuoso di cui sopra non funziona più e la ragione è tanto semplice quanto disarmante. Tale ragione è dovuta al fatto che il politico non esiste più, perché è stato soppiantato da una logica finanziaria che lo ha sostituito con il chiacchiericcio individualista e anarchico che riscontriamo attraverso la Rete. Sì, quella Rete in cui sono assenti regole e limiti (la libertà è tale perché vi sono regole e limiti, altrimenti è anarchia, il regno ove trionfano i più ricchi e i più forti), in cui ognuno procede come un cane sciolto (spesso rabbioso), privo di visione di insieme o anche solo di un’idea di bene comune, ma in possesso di una propria verità assoluta e di propri desideri e convinzioni che devono prevalere su quelli degli altri elementi del branco. Insomma, è il sistema neoliberista del profitto e dell’individualismo sfrenati ad essersi sostituito alla politica, per cui lo slogan di Hanisch oggi va inteso così: “il personale è economico”.
Ecco perché il meccanismo si è inceppato, tanto che la libertà individuale si è trasformata in anarchia individualista e le istanze di emancipazione sono degradate al livello di desideri egoistici che ognuno pretende siano riconosciuti alla stregua di diritti inalienabili. Il mondo “fluido” di cui parlava Bauman e che oggi si declina anche in termini sessuali è figlio di quella logica finanziaria che sta distruggendo i diritti sociali dietro il paravento di un riconoscimento ossessivo e anarchico dei diritti civili.
La costruzione di un’individualità polisessuale, apolitica e ossessivamente incline alla realizzazione dei propri desideri e delle proprie inclinazioni, insomma, è funzionale al sistema anarchico del mercato, non certo alla costruzione di una comunità politica ispirata ai valori della libertà e dell’uguaglianza. Lo si può vedere anche dalle reazioni all’ormai famigerato spot di Esselunga con la pesca e la bambina.
Si è prodotto un teatrino di reazioni tanto fragorose quanto inutili su chi accusava questa pubblicità di promuovere un modello di famiglia arcaico e reazionario e chi, dall’altra parte, riteneva lo spot perfettamente rispondente ai valori di quella famiglia tradizionale oggi messa in discussione da più parti. Peccato che i dati oggettivi siano altri:
1) Ci ha guadagnato solo Esselunga (e l’ideatore dello spot);
2) Malgrado si siano tirate in ballo almeno due etiche contrapposte, a trionfare è stata soltanto la logica del profitto;
3) Si è fatto un gran parlare di famiglia e persone, dimenticando totalmente che gli ultimi governi di tutti i colori hanno rigorosamente ignorato le misure per la famiglia e tagliato in maniera selvaggia i fondi per le politiche sociali e la tutela dei soggetti più deboli (cosa che sta avvenendo anche in questi giorni);
4) Il teatrino dei commenti impazziti nel mondo virtuale è stato inversamente proporzionale all’assenza di progetti concreti sul piano della vita reale.
Insomma, non poteva esserci modo migliore, in questi tempi sciagurati, per decretare attraverso una banale pubblicità che siamo entusiasticamente alla frutta…