Altra giornata di forti cali per il petrolio. In 4 sedute il barile ha perso circa 10 dollari e oggi viene scambiato a Londra poco al di sopra degli 84 dollari. L’inversione di rotta arriva dopo un mese di continui aumenti che avevano portato il prezzo del greggio dagli 82 dollari di fine agosto sino ad oltre 96, tra l’altro spingendo al rialzo i listini di benzina e gasolio. La corsa delle quotazioni era stata innescata dalla decisione di Arabia Saudita e Russia di prolungare i tagli alla produzione riducendo quindi l’offerta sul mercato. Il brent ha chiuso oggi in discesa dell’1,9% a 84,2 dollari ma nella giornata di mercoledì la flessione aveva superato il 5%, configurando il calo giornaliero più forte da oltre un anno. Una flessione che ha destato sorpresa anche tra gli operatori del mercato e che viene almeno parzialmente motivata dall’impennata dei tassi di interesse sui mercati obbligazionari.

Questa condizione potrebbe tradursi in un rallentamento della crescita economica superiore alle previsioni e quindi in un calo della domanda di combustibili superiore a quanto preventivato. Il movimento al ribasso è stato amplificato da fattori speculativi con molti hedge fund che hanno in essere scommesse rialziste sul greggio che hanno velocemente corretto le posizioni. Una piccola spinta verso il basso è arrivata inoltre dal dato sulle scorte statunitensi, salite di 6,5 milioni di barili la scorsa settimana. Sul mercato sembra esserci una spiccata volatilità ma se la discesa delle quotazioni dovesse consolidarsi ci sarebbero ricadute positive sul costo di carburanti e, a cascata, su quelli di luce e gas. In generale si attenuerebbero le spinte inflazionistiche, fattore che potrebbe ammorbidire la risoluzione delle banche centrali di mantenere elevato il costo del denaro.

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