“Giorgia Meloni dice bisogna guardare a come si spendono le risorse per la sanità pubblica? Mi sembra che sia atterrata oggi sulla Terra, noi del Pd sono ormai mesi che diciamo che è un problema non tanto delle risorse quanto del servizio sanitario nazionale“. Così a L’Italia s’è desta (Radio Cusano Campus) il senatore del Pd Andrea Crisanti commenta le parole pronunciate dalla presidente del Consiglio al Festival delle Regioni, dove ha motivato la riduzione dei fondi per la Sanità invitando i presidenti regionali a razionalizzare le risorse e aggiungendo che ‘sarebbe miope concentrare tutta la discussione sull’aumento’ dei soldi, perché ‘non basta spendere di più per risolvere i problemi se poi i fondi vengono usati in modo inefficiente’.
Crisanti, che 5 mesi fa ha lanciato una petizione su change.org contro le nomine della politica nella gestione della sanità, spiega che la vera crisi del sistema sanitario nazionale è nell’accessibilità, uno dei parametri fondanti della sanità pubblica assieme all’equità, all’efficienza amministrativa, all’aggiornamento tecnologico e alla mobilitazione delle risorse. Ma la criticità dell’accessibilità impatta come effetto domino anche su altri aspetti.
“In questo momento – sottolinea Crisanti – la crisi dell’accessibilità si traduce nel fatto che i tempi di attesa per una risonanza magnetica o per le visite specialistiche siano anche un anno. E questo ovviamente ha ricadute sull’equità perché, a sua volta, l’accessibilità non è distribuita ugualmente in Italia tra Nord e Sud e, all’interno delle stesse regioni del Nord, tra le varie fasce sociali.
E precisa: “Questo poi si traduce nel fatto che c’è una drammatica differenza in qualità e aspettativa di vita a seconda della fascia di reddito. Insomma, siamo a una crisi senza precedenti del servizio sanitario nazionale“.
Il virologo aggiunge: ” Servono chiaramente più soldi, ma se queste risorse non vengono qualificate bene non risolvono il problema. Ma questo lo ha già certificato la Corte dei Conti: i livelli essenziali di assistenza non corrispondono alla spesa regionale, cioè ci sono Regioni che spendono molto più di altre e hanno livelli essenziali di assistenza totalmente inadeguati. Se non mettiamo mano alla governance – spiega – cioè alla struttura di gestione della sanità, se non attuiamo le case di comunità e quindi creiamo questa cerniera tra gli ospedali di primo – secondo livello e i cittadini e se non rimettiamo mano al rapporto tra pubblico e privato, fra tre anni saremo ancora parlando di questi problemi, magari avendo speso anche più soldi”.
Circa la questione pubblico e privato, Crisanti è tranchant: “Una percentuale che oscilla tra il 35% e il 40% della spesa della sanità va al privato convenzionato. E il privato convenzionato non è pubblico, perché di pubblico ci sono solo i soldi che ci mettiamo. Se facciamo un conto, già 50 miliardi sulla manovra sono appostati per il privato, dopodiché gli italiani spendono di tasca propria altri 40 miliardi e stiamo alla pazzesca cifra di 90 miliardi per il privato. Cioè in Italia il privato vale più del pubblico”.
E osserva: “Ma perché il privato prolifera? Il privato in Italia vale il 60% ma contribuisce marginalmente per i reparti di Pronto Soccorso e per nulla per i reparti di rianimazione neonatale, di medicina trasfusionale, di oncologia. E addirittura i privati si scelgono pure le prestazioni, ci sono quelle a più alta remunerazione. Faccio un esempio: Italo paga la manutenzione della rete delle stazioni e il tempo che usa la rete? Ma certo che li paga, ma allora – continua – perché dobbiamo permettere ai privati di utilizzare gratis l’ossatura del servizio sanitario nazionale, cioè i reparti di rianimazione, i Pronto Soccorso, la traumatologia, l’emotrasfusionale, l’oncologia, la rianimazione neonatale, e per di più gli consentiamo di scegliersi pure le prestazioni? Questa cosa non esiste in nessuna parte del mondo“.