"Un trattamento simile è riservato anche a Mediaset, alle prese con cambiamenti importanti, ma per il dirigente bisognerebbe concedere più tempo: "Solitamente, in Rai, c’era una regola non scritta. Quando un nuovo management si insediava, si lasciava almeno un anno prima di parlarne male...", la stampa dovrebbe fare quindi finta di non vedere?
I bassi ascolti agitano i vertici Rai. Quella che ora tutti chiamano “TeleMeloni” si ritrova a fare i conti dopo mesi di polemiche e cambiamenti radicali. Troppo presto per le sentenze definitive, in un palinsesto ancora incompleto, ma con segnali fin troppo chiari per essere ignorati. “Ho profondo rispetto dei giornalisti, stima dei critici televisivi, ma trovo pigro quel giornalismo che racconta la Rai con morbosità, trovo piccine le cattiverie di chi si esercita nel parlar male dell’azienda in cui lavora. Ci sono quotidiani che ormai copiano altri quotidiani pur di irriderla e che si esercitano nel tiro al piattello Rai”, spiega Giampaolo Rossi al Foglio. Direttore Generale del servizio pubblico, l’uomo che per Giorgia Meloni si occupa della televisione.
A Viale Mazzini il clima è rovente, i dati agitano i vertici e favoriscono articoli critici, gli stessi che la stampa riservava alle precedenti governance. Non secondo Rossi, che pure l’azienda la conosce bene da anni e dall’interno: “La Rai scatena la fantasia di chi dice ‘vendiamola’ quando l’interesse di tutti dovrebbe essere farla sopravvivere. Di sicuro è l’interesse di chi la guida adesso, di un amministratore delegato straordinario, di un gruppo di lavoro che ci sta provando malgrado una Rai ereditata che è da brividi, malgrado le critiche feroci, il più delle volte, dispiace dirlo, interessate”.
Il riferimento è alla precedente gestione, che aveva però in palinsesto Fabio Fazio, Luciana Littizzetto, Bianca Berlinguer, Massimo Gramellini e Lucia Annunziata. Le false partenze, non arrivano dal passato, sono tutte decisioni dei nuovi direttori: dal flop di ascolti di Pino Insegno con “Il Mercante in Fiera” ai bassi ascolti de “La Volta Buona” di Caterina Balivo, passando per i risultati insoddisfacenti dei nuovi titoli come “Fake Show” o “Filorosso” ma anche alle partenze non all’altezza di “Agorà” e “Restart”.
Rossi non condivide una visione così allarmata: “Fare televisione è qualcosa di complesso. Accusare e dire che la Rai precipita negli ascolti, fa flop, dopo neppure un mese dall’avvio della programmazione, è come dire che i quotidiani perdono copie per colpa di chi ci scrive, a prescindere. Quando si commenta la crisi dell’editoria si parla di passaggio d’epoca, e giustamente. Anche in televisione occorre analizzare il pubblico, l’età che cambia. Mi piacerebbe che si parlasse di questo, della grande sfida che attende la televisione generalista, anziché delle piccole frustrazioni che ci sono ovunque, in qualsiasi luogo di lavoro”.
Un trattamento simile è riservato anche a Mediaset, alle prese con cambiamenti importanti, ma per il dirigente bisognerebbe concedere più tempo: “Solitamente, in Rai, c’era una regola non scritta. Quando un nuovo management si insediava, si lasciava almeno un anno prima di parlarne male, prima di condannare dei palinsesti che, ricordo, sono stati assemblati in un mese. È, ancora, come in un giornale quando, il caporedattore, dieci minuti prima della chiusura, scopre di non avere il pezzo dell’inviato previsto in pagina. Bianca Berlinguer ha lasciato la Rai comunicandolo a ridosso della presentazione dei palinsesti. Chi è arrivato ha dovuto fare i conti con una riforma dei generi che non è mai stata attuata. Con un piano industriale mai approvato. C’era una Rai ferma da mesi”.
“La Rai ereditata, quella della passata gestione, è una Rai immobile dal 2013”, aggiunge Rossi al Foglio mettendo nel mirino la gestione di Carlo Fuortes: “L’impegno è uno solo: mettere in sicurezza la Rai (…) Nel Contratto di servizio, approvato, in tempi record, per la prima volta si mette nero su bianco che la Rai può ottemperare a quel contratto solo se ci sono le risorse compatibili. È una garanzia per la Rai, la garanzia che la Rai può ancora svolgere il suo ruolo di servizio pubblico solo con il denaro necessario. La Rai non la vende nessuno anche se la difendono sempre in pochi“.