Società

Il disastro di Mestre, specchio dell’Italia nel bene e nel male

Il disastro di Mestre, nel quale sono perite 21 persone e altre sono rimaste gravemente ferite, presenta a ben vedere taluni aspetti paradigmatici, specie se analizziamo attentamente, senza sottrarci a un giudizio severo, i comportamenti tenuti dalle persone che, in un modo o nell’altro, ne sono state coinvolte o comunque vi si sono rapportate.

Cominciamo dalle vittime. Stupisce la presenza al loro interno di ben sei cittadini ucraini. La popolazione ucraina, emigrata a milioni per effetto della guerra in corso, ne costituisce la vittima principale e ciò va riconosciuto senza mezzi termini e vanno adottate tutte le misure idonee a garantire a questi profughi, come a tutti coloro che sono costretti a lasciare il loro Paese per effetto di conflitti o di altri avvenimenti catastrofici, un diritto all’asilo e alla sicurezza fisica, psicologica, giuridica ed economica che discende direttamente dalla nostra Costituzione e dalle norme internazionali applicabili. E soprattutto va posto fine al più presto al disastroso conflitto ucraino, percorrendo senza esitazioni la via del negoziato e ponendo fine all’invio di armi. E’ positivo che qualche incrinatura al riguardo cominci a manifestarsi nel fronte atlantista, suscitando addirittura una significativa presa di posizione del ministro Crosetto, unico finora della compagine meloniana ad avere manifestato apertamente le sue perplessità.

Si dirà che la sorte delle ventuno vittime, fra di esse i sei cittadini ucraini, sia stata segnata da un destino fatale e inoppugnabile. Ma sappiamo perfettamente che non è così. Incidenti analoghi si sono verificati troppo di frequente in Italia negli ultimi anni e la causa ultima di essi va ricondotta, in un caso o nell’altro, all’incuria delle autorità competenti che non ottemperano al loro obbligo giuridico imperativo di assicurare condizioni di sicurezza a chiunque percorra le strade e le autostrade nazionali. Nel caso in esame, come dimostrato dalla precisa e puntuale indagine avviata dal Fatto, il fattore determinante è stato costituito da un guardrail, che di guardrail non meritava neppure il nome, data la sua ridicola altezza di cinquantadue centimetri.

Matteo Salvini, sul quale, nella sua qualità di ministro delle infrastrutture e dei trasporti, incombe la responsabilità apicale in materia, che si traduce nell’obbligo di attuare la vigilanza e i necessari tempestivi interventi sulle strade in dissesto, non solo non ha pronunciato una sola parola in merito a tale aspetto, ma si è lanciato in un vergognoso tentativo di depistaggio, tentando ancora più vergognosamente di trarre l’acqua al suo mulino di nemico giurato della transizione energetica, facendo riferimento al fatto che i motori elettrici rendono gli incendi più probabili e frequenti, affermazione questa del tutto infondata e smentita da qualsiasi statistica nazionale e internazionale in materia. Salvini non è certamente l’unica faccia tosta presente nella compagine governativa, ma riesce ad esserlo in modo al momento del tutto insuperabile.

Il fatto di essere governati da persone aliene dall’assumersi le proprie responsabilità in frangenti decisivi è certamente per noi tutti cittadini italiani motivo di profondo sconforto. Un elemento di speranza di natura per così dire strategica scaturisce tuttavia da un terzo elemento presente nella tragedia di Mestre. Mi riferisco alla generosa reazione dei due migranti che si sono lanciati nelle fiamme per tentare di salvare le vittime del disastro. Due giovani africani lavoratori della Fincantieri che hanno prestato la loro opera insieme ad altri, come il vigile del quale si parla nell’intervista fatta ad uno di loro. Giovani come questi fanno già parte a pieno titolo della nostra comunità nazionale e se la sostituzione etnica è questa che sia benvenuta, alla faccia delle concezioni retrive espresse dai vari Lollobrigida, Vannacci, dal citato Salvini ed altri.

Questo atroce disastro, come pure gli altri che lo hanno preceduto, avrebbe potuto essere evitato se le autorità competenti avessero svolto in modo dignitoso le proprie funzioni di sorveglianza. La domanda che sorge spontanea è: “ma in che mani siamo?”. Per superare tale nostra attuale situazione estremamente penosa occorre dar vita a uno schieramento alternativo che superi le attuali inefficaci forme della sedicente opposizione, si tratti del Pd ormai definitivamente bollito, sia pure in salsa multicolore Schlein, che pensa bene di omaggiare il defunto Berlusconi mettendolo sul piedistallo insieme a Dario Fo e a Borrelli, o dei Cinquestelle che nonostante la buona volontà stentano a loro volta a dar vita a un’iniziativa efficace.

Eppure la lotta per una nuova Italia deve continuare, nella consapevolezza che sarà sempre più decisiva in tale prospettiva la partecipazione dei migranti, chiamati oggi, insieme ai giovani che pure sono vittime della presente situazione, a infondere nuova linfa vitale nelle vene esauste del popolo italiano.