di Valerio Pocar

Il clamore suscitato da certe affermazioni contenute nel libro di un generale paracadutista non sì è ancora sopito e forse non è troppo tardi per tornare in argomento. Non per unire le nostre parole ai molteplici commenti sul libro e neppure per dire la nostra sul generale medesimo, ché l’uno e l’altro hanno già goduto e ancora godono della loro ora di celebrità, diciamo pure immeritata. In proposito vogliamo soltanto esprimere un certo rammarico nell’aver trovato conferma del sospetto che, a torto o a ragione, molti nutrono: che nelle forze armate continui ad annidarsi un certo numero, si spera di limitata entità, di militari “benpensanti”, la formazione intellettuale e il patrimonio di valori dei quali risalgono a tempi remoti e non corrispondono certo alla modernità degli strumenti bellici a loro disposizione e loro affidati.

Non vogliamo, però, soffermarci sulle opinioni omofobe, maschiliste e razziste espresse dal generale, che è andato addirittura a ripeterle in tournée. Soltanto, molto sommessamente, vorremmo ricordare al medesimo generale, il quale, per il mestiere che esercita, di sicuro stima che il coraggio rappresenti un’apprezzabile virtù, che oggi come oggi ci vuole più coraggio semplicemente per condurre una vita tranquilla, ad essere Lgbt+ piuttosto che “normali”, donne piuttosto che uomini, neri piuttosto che bianchi.

La reazione corale delle destre, “intellettuali” compresi, è stata quella di schierarsi a sostegno del diritto del generale di esprimere le proprie opinioni. In linea di principio non possiamo che essere, à la Voltaire, d’accordo. Salvo che il generale, che in cuor suo o al bar ha diritto di pensare e dire ciò che gli passa per la testa, per il mestiere che esercita potrebbe avere certi vincoli nei confronti dei suoi superiori e soprattutto dell’istituzione alla quale appartiene. Anche questo, però, è un problema suo e del ministro della Difesa, il quale – per una volta, come mai avremmo creduto, col nostro plauso – glielo ha ricordato.

Ma anche qui non sta il punto. Il coro delle destre, intellettuali compresi, fatta salva la difesa del diritto di opinione, ha ritenuto però, tranne alcune mosche bianche, di non esprimersi sul merito. Intendiamoci, ognuno ha il diritto di pensare e di dire le sue scemenze e di palesare le sue esecrabili opinioni, ma ciò non toglie che restino scemenze e opinioni esecrabili. Limitarsi a protestare il diritto di esprimere le proprie opinioni può essere inteso – a pensar male ecc. – come l’adesione tacita alle opinioni medesime. Il ministro della Difesa è – meritoriamente, ripetiamo – entrato nel merito e ha condannato non solo formalmente, ma anche appunto nel merito le opinioni del generale; ma, coralmente, si è attirato la censura dei suoi sodali che hanno preso le distanze dal suo intervento, non sappiamo se per adesione alle opinioni del generale oppure se per basse ragioni di bottega elettorale – oppure per entrambi questi motivi. Certe destre di governo fanno a gara a chi è più di destra, tra leghisti e fratelli, con continui scavalcamenti. Qui si deve star cauti, poiché, scavalca che ti scavalco, alla fine si rischia di finire tutti quanti nel baratro.

Dunque, il problema non è il generale, ma le destre che ne condividono le opinioni e, più generalmente (scusate il bisticcio), che si tratta di opinioni largamente condivise da coloro che tali destre sostengono. Insomma, si può pensare che il generale abbia espresso il pensiero di una buona fetta degli italiani, anche di coloro che magari non hanno il coraggio di dire che gli Lgbt+ non sono normali, che le donne dovrebbero tornare a stare in casa ecc. ecc.

Il successo riscosso dal generale fa pensare che si sia riprodotto, purtroppo, un fenomeno non infrequente. Anni or sono, un illustre intellettuale recentemente scomparso teneva settimanalmente una rubrichetta su un quotidiano di rilevanza nazionale, nella quale commentava fatti di attualità con argomenti di senso comune degni dell’uomo comune. Aveva grande successo, perché il medesimo uomo comune, trovando stampate le sue opinioni, magari anche becere, si ringalluzziva: vedi che ho ragione, lo dice anche lui sul giornale. Forse l’uomo comune avrebbe fatto meglio a chiedersi se la coincidenza della sua opinione con quella stampata non tornasse a discredito dell’autorevolezza dell’opinionista. Considerando il successo del libro del generale e più delle opinioni ivi espresse, temiamo che presso una parte, si spera modesta, della popolazione si sia verificato lo stesso fenomeno: finalmente qualcuno che dice le cose che penso anch’io, senza chiedersi se per caso non siano affermazioni stupide o esecrabili. Insomma, vale ancora, nelle opinioni diffuse, il principio di autorità e il pensiero critico resta ancora, e forse sempre più nell’era dei social, un’utopia.

Comunque, parliamoci chiaro, un generale può sempre venir buono. Già che non solo la patria e la famiglia, ma persino lo stesso buon dio hanno bisogno di essere difesi, chi meglio di un generale?

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