Il mese di ottobre appena cominciato vedrà diversi appuntamenti elettorali in un’America Latina dove da almeno un decennio si vive un continuo e sistematico deterioramento della democrazia. Una tendenza confermata nel report 2023 di Latinobarometro, intitolato per l’appunto “Recessione democratica in America Latina” che spiega che la recessione si esprime nello scarso sostegno alla democrazia, nella crescente indifferenza verso il tipo di regime, nella preferenza e negli atteggiamenti a favore dell’autoritarismo, nel crollo della performance dei governi e dell’immagine dei partiti politici. La democrazia in diversi Paesi della regione è in uno stato critico, mentre in altri la democrazia è scomparsa.

Con questo doveroso preambolo, andiamo dunque a vedere quali sono gli scenari nei quali la cittadinanza è chiamata ad esprimere un voto, che nella maggior parte dei casi riguarderà la scelta del prossimo presidente della Repubblica. E questo è proprio il caso dell’Ecuador dove il 15 ottobre scopriremo chi tra Luisa González, candidata del correismo, o Daniel Noboa, del Partito di Azione Nazionale Democratica, guiderà il paese andino per il prossimo anno e mezzo. Elezioni figlie dell’instabilità politica e sociale acuitasi quando Guillermo Lasso ha sciolto le camere (per evitare un processo di destituzione o impeachment) nel maggio scorso. Il nuovo o la nuova presidente rimarrà in carica solo per quel che rimane di legislatura e dovrà rimettere il suo incarico al volere del popolo ecuadoriano nel gennaio del 2025.

Domenica 1 ottobre si è celebrato un dibattito televisivo che si è centrato, come non poteva essere altrimenti, sulla sicurezza: in un paese in preda a un’escalation di violenza senza precedenti e con una guerra interna tra gruppi del crimine organizzato (con la longa manus dei cartelli della droga messicani). Luisa González partiva in svantaggio visto che i sondaggi davano il giovane rampollo della famiglia Noboa a più di 10 punti sulla candidata correista. Nel dibattito però González, come spiega Davide Matrone (politologo e prof. di Comunicazione all’Universidad Politécnica Salesiana a Quito) ha convinto e potrebbe aver rimesso in discussione il verdetto finale. Tra pochi giorni sapremo il risultato di un processo elettorale macchiato di sangue, caratterizzato da attentati e minacce, dove è d’obbligo ricordare l’assassinio di uno dei candidati durante il primo turno, Fernando Villavicencio.

Il 22 ottobre sarà invece una data importante per i due estremi del Sudamerica. Venezuela e Argentina celebreranno due importanti votazioni che nel primo caso riguarderanno le primarie dell’opposizione in vista della contesa presidenziale del 2024, e nel secondo caso il primo turno delle elezioni presidenziali (si celebreranno lo stesso giorno anche le elezioni legislative).

In Venezuela la 55enne Maria Corina Machado sembra poter vincere la “lotta” delle primarie. Si tratta di una politica di lungo corso, pilastro della destra radicale del paese sudamericano, che difende le privatizzazioni e la riduzione del peso dello Stato e che El Páis ha definito in un recente articolo “la versione emotiva e venezuelana di Margaret Thatcher” . Le primarie si svolgeranno in un clima molto teso, soprattutto per l’interferenza del Centro Nazionale Elettorale – CNE (in mano al partito di governo), che ha già ordinato l’inabilitazione per questo processo elettorale dei tre principali leader dell’opposizione a Nicolas Maduro: Maria Corina Machado, Henrique Capriles e Freddy Superlano (quest’ultimo appartenente a Voluntad Popular, il partito di Leopoldo López e Juan Guaidó).

In Argentina il volto di queste elezioni è sicuramente l’outsider di estrema destra (partito La Libertad Avanza) Javier Milei. Lo stravagante, iracondo ed eccentrico economista è in testa a tutti i sondaggi e si scontrerà per la presidenza con altri quattro candidati/e: Patricia Bullrich della coalizione di destra dell’ex presidente Macri, Juntos por el Cambio; Sergio Massa, il rappresentante della coalizione di sinistra del presidente uscente (Alberto Fernandez) Unión por la Patria; Juan Schiaretti per la coalizione Hacemos por Nuestro País e Myriam Bregman del Frente de Izquierda y de Trabajadores – Unidad. I sondaggi danno Milei al 35%, seguito da Massa al 30% e Bullrich quasi al 26%, esigue le proiezioni degli altri due candidati. Con questi possibili risultati sembra molto probabile un ballottaggio (previsto per il 19 novembre), visto che la legge elettorale argentina prevede che la vittoria al primo turno avvenga solo quando un candidato arrivi al 45% delle preferenze, oppure al 40% ma con 10 punti di distacco rispetto al secondo.

Il mese si concluderà con le elezioni di sindaci e governatori in Colombia per il periodo 1 gennaio 2024 – 31 dicembre 2027: un appuntamento molto importante per il governo di sinistra di Gustavo Petro, chiamato al duro compito di conquistare la capitale Bogotá e dare una prova di solidità, dopo mesi di scandali (vedi casi di Laura Sarabia e Armando Benedetti o la detenzione del figlio di Petro, Nicolás), attriti interni alla coalizione e difficoltà nell’avanzare con le riforme previste dal suo programma elettorale.

Gustavo Bolívar (57 anni) è il candidato petrista che rappresenterà il Pacto Histórico (la coalizione che ha portato Petro alla presidenza) ma le intenzioni di voto lo danno in svantaggio rispetto a Carlos Fernando Galán del partito Nuevo Liberalismo. Carlos Fernando è figlio del senatore e candidato presidenziale Luis Carlos Galán Sarmiento, ucciso nel 1989 (secondo John Jairo Velásquez, alias ‘Popeye’, su ordine di Pablo Escobar e Gonzalo Rodríguez Gacha, in contumacia con l’ex ministro di giustizia Alberto Santofimio Botero). Altro nome da tenere in considerazione per Bogotá è Juan Daniel Oviedo, economista e direttore generale del DANE (Dipartimento amministrativo nazionale di statistica) durante il governo di destra di Ivan Duque (2018-2022).

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