Con la recente approvazione della mia proposta di legge, l’Emilia-Romagna è la prima Regione in Italia ad avere una legge per l’istituzione e la promozione dei distretti del biologico. Non nascondo la grande soddisfazione personale, anche per l’approvazione all’unanimità.
Il voto ha coronato un intenso percorso di condivisione e coinvolgimento dei territori e dei comitati promotori dei distretti del biologico. Al momento i distretti già formati o in formazione, scendendo da Piacenza a Ravenna, sono il Biodistretto Alte Valli nell’Appennino Piacentino, Parmense, Toscano e Ligure, il Distretto biologico di Parma, quello in provincia di Reggio Emilia, il Biodistretto Valli del Panaro, il Distretto bio dell’Appennino Bolognese, il Distretto bio della Val Bidente e dell’Alta Val Rabbi, il Distretto bio della Romagna Estense e il Distretto bio promosso dal Comune di Cesena.
Ma vediamo cosa si intende per distretti bio. Si tratta di comunità territoriali che associano gli agricoltori che adottano il metodo di coltivazione biologico che non fa uso di pesticidi, erbicidi e fertilizzanti di sintesi chimica, o che sono in conversione dal metodo convenzionale a quello bio; allevatori che nutrono i propri animali con mangimi e foraggio non trattati chimicamente, e nel massimo rispetto del benessere animale; trasformatori e rivenditori dei prodotti bio; agriturismi. Possono inoltre aderirvi comuni e scuole, creando così una sinergia utile, ad esempio, alla diffusione delle mense scolastiche bio e all’educazione alimentare fondata sulla cultura del cibo sano per l’ambiente e per il consumatore. Non da ultimo, possono entrare a farne parte centri di ricerca e Università, perché l’agricoltura, la zootecnia e l’industria di trasformazione bio implicano approcci complessi e altamente specializzati. I distretti bio possono fungere da volano per la diffusione della cultura del metodo biologico, per la tutela della biodiversità e della fertilità del suolo.
Con questa legge l’Emilia-Romagna ha uno strumento in più per far crescere il biologico, un settore che, secondo l’ultimo rapporto redatto dalla Regione, conta 7330 imprese (+5,85% rispetto al 2021), un dato che la mette al quinto posto tra le regioni italiane. Mentre la superficie coltivata col metodo bio ha raggiunto il 19% Superficie Agricola Utile (sesto posto in Italia).
I finanziamenti previsti dalla legge per il triennio sono, al momento, 50mila euro sul 2023, e 100mila euro ciascuno su 2024 e 2025. Pochi, in verità. Ma sono già stati annunciati dalla Giunta regionale incrementi sul prossimo anno. Le risorse, assegnate tramite bandi, andranno a finanziare analisi, studi e ricerche di mercato e di settore; azioni divulgative; l’organizzazione e la partecipazione a corsi, mostre, fiere, mercatini; la diffusione di linee-guida e conoscenze scientifiche; la pubblicazione di cataloghi e la realizzazione di prodotti multimediali per far conoscere i distretti.
In vista degli obblighi europei, che fissano il raggiungimento del 25% di Sau bio sul totale al 2030, l’approvazione di questa legge è un passaggio politicamente importante. In Italia il bio è cresciuto negli anni anche su impulso dell’Europa, una strada, purtroppo, non ancora stabilizzata. Se alle prossime elezioni europee dovessero prevalere le destre, che sempre più associano negazionismo climatico all’avversione per la transizione ecologica, c’è il rischio concreto di un arretramento delle politiche Ue su tutela di clima e ambiente e per l’agricoltura bio. Il prossimo test a livello di Paese lo avremo alle elezioni del 22 novembre in Olanda, dove sta crescendo un forte movimento contro la transizione green, di cui fanno parte molti contadini.
Accanto alla soddisfazione per il coronamento di un lungo lavoro su un tema fondante per i Verdi, ho ben chiaro che tutto dipenderà dai risultati che si raggiungeranno. L’obiettivo è creare sinergie tra tutti gli attori e favorire un modello agro-economico ambientalmente sostenibile e compatibile con la tutela della biodiversità e la produzione di cibo sano. La lotta al riscaldamento globale e al cambiamento climatico passa anche dall’agronomia e dalla zootecnia biologiche. Non resta che sperare che quella dell’Emilia-Romagna sia solo la prima di tante altre iniziative analoghe in tutta Italia. Ne abbiamo bisogno.