La promessa di un incarico al ministero della Pubblica amministrazione in cambio di un intervento sui vertici di Finnat fiduciaria. L’obiettivo? Risolvere in via stragiudiziale un’operazione di recupero crediti nei confronti di Paolo Narciso, in quel momento vicecapo di gabinetto del ministro Roberto Brunetta. Emergono nuovi dettagli dall’inchiesta per corruzione e traffico d’influenze illecite nei confronti dell’avvocato Luca Di Donna, indagato per il suo ruolo di presunto mediatore nella fornitura – avvenuta tra luglio 2020 e giugno 2021 – di test molecolari per il Covid all’ex struttura commissariale del Governo. Il 25 settembre la Procura di Roma ha inviato a otto indagati l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, atto che di norma prelude a una richiesta di rinvio a giudizio.
Tra chi rischia il processo c’è anche Di Donna, avvocato e professore ordinario della Sapienza, in passato inquilino dello stesso studio legale che ospitò lo studio di Giuseppe Conte (di proprietà di una società terza e i due non lo hanno mai condiviso). Già due anni fa il leader M5s spiegò di non aver più frequentato Di Donna dopo essere diventato premier. L’accademico è accusato, insieme ad altri due legali, di aver “sfruttato le relazioni personali esistenti” con i vertici dell’allora struttura commissariale “garantendone l’intervento per promuovere affidamenti di commesse di dispositivi medici alla società Adaltis”. Gli affidamenti sono avvenuti tra luglio e dicembre 2020, per un valore complessivo di 3,3 milioni di euro. I legali, per i pm, in quell’occasione si sarebbero fatti “promettere e consegnare dai referenti di Adaltis (…) somme di denaro quale remunerazione indebita della mediazione illecita”.
Dall’atto però risulta una novità: tra gli indagati c’è anche Narciso, ex vicecapo di gabinetto di Brunetta. Secondo le accuse, tra marzo e maggio del 2021, il dirigente “contattava l’avvocato Di Donna, legale della Finnat, lo convocava presso il ministero della Funzione pubblica” e “metteva a disposizione le sue funzioni, promettendogli ed offrendogli incarichi pubblici da parte del Dipartimento della Funzione pubblica”, mai assegnati. La contropartita, per i pm, era “l’intervento dell’avvocato Di Donna presso l’area legale e manageriale della Finnat per concludere un accordo stragiudiziale transattivo e chiudere i contenziosi civili pendenti”.
In quel momento, spiegano infatti gli inquirenti, esistevano “due ricorsi per decreto ingiuntivo depositati dalla Finnat Fiduciaria (…) innanzi al Tribunale civile di Roma ed al Giudice di Pace di Roma” nei confronti “di Paolo Narciso e della madre Luisa Di Marco”. I ricorsi della banca, si legge negli atti, erano finalizzati al recupero crediti di circa 11.500 euro “per il mancato pagamento di importi commissionali legati al mandato conferito di amministrazione fiduciaria di partecipazioni azionarie”. Narciso e Di Donna sono accusati di corruzione, mentre Brunetta è estraneo all’indagine. L’ex vicecapo di gabinetto, va ricordato, è già indagato a Roma, insieme all’attuale presidente del Cnel per i reati di falso e illecito finanziamento in una vicenda collegata, che riguarda il trasferimento delle quote di una società da Brunetta alla moglie di Narciso.
Rischia il processo anche Pietro Napolitano, vice presidente della Federlab Italia, l’Associazione nazionale delle strutture ambulatoriali. Nella vicenda degli affidamenti dei test molecolari, infatti, stando alle accuse, essendo “in rapporti di consulenza con l’avv. Di Donna, operava come elemento di raccordo tra il gruppo dei professionisti (…) ed il gruppo Adaltis spa”, e aveva anche provveduto a sottoscrivere un “incarico di consulenza che avrebbe dovuto fungere da schermo all’intervento di questi ultimi presso la struttura commissariale”. Per gli inquirenti, Napolitano si è fatto fatto “promettere e consegnare” da un consulente Adaltis la somma di cinquemila euro “quale rimborso spese” e la somma di cinquantamila euro (di cui ventimila corrisposte) per la Federlab “a titolo di contributo incondizionato per la realizzazione di un progetto di ricerca”. Contattato dal Fatto, il vicepresidente Federlab ha preferito non rilasciare dichiarazioni.