Irritazione tra i ‘nuovi dirigenti‘ vicini alla segretaria Elly Schlein, decisi però a evitare le polemiche, dopo gli insulti ricevuti da Vincenzo De Luca. Imbarazzi, tentativi di difesa, ma soprattutto silenzi e poche parole invece nell’area riformista, a partire dal presidente del partito, Stefano Bonaccini, che incassò il suo appoggio durante la corsa (finita male) alla segreteria.

L’eco delle sfuriate del governatore campano arriva fino a Roma nel giorno della Direzione nazionale del Partito democratico. Ma l’invito, spiegano fonti interne a microfoni spenti, è non replicare alle accuse, ‘sopire il caso’, evitando nuove fratture e di spaccare nuovamente il partito, nel giorno in cui cerca di mostrarsi compatto contro il governo Meloni: “Parliamo di problemi del Paese, di salario minimo, della manifestazione dell’11 novembre per costruire un’alternativa alle destre…”, è il mantra ripetuto. Così, di parlare di De Luca, c’è poca voglia.

Maleducati, imbecilli, pinguini”. Così il governatore aveva bollato dal palco della Festa dell’Unità di Napoli i “nuovi dirigenti“. Quelli che fanno capo alla cordata della segreteria Schlein, che intende sbarrargli la strada verso l’ambito terzo mandato da governatore. Un obiettivo che De Luca vuole, con o senza l’appoggio dei dem nazionali, già pronto a girare il Paese con il suo nuovo libro, dal titolo eloquente, ‘Nonostante il Pd‘. “Il problema non è il terzo o il quarto o il quinto mandato – giurava invece dallo stesso palco napoletano il presidente – il problema è Vincenzo De Luca, un uomo libero che non ha padroni e non ha correnti”. Rivendicando di essere “il più votato d’Italia del Pd” e di aver preso “il triplo dei voti di quello che ha preso la Schlein”: “Non che mi aspetti che mi si dica grazie, ma perlomeno non mi rompete le scatole”. Perché, a suo dire, ormai “la maleducazione è diventata il tratto distintivo dei nuovi dirigenti”, tanto che “a Paestum all’appuntamento di Forza Italia hanno avuto più rispetto per me“.

Parole che non potevano non far rumore al Nazareno, scuotendo il clima di (presunta) pacificazione interna. Non è una novità che Schlein, pur rinviando ancora formalmente la questione, abbia fatto del “no” al tris di De Luca una battaglia identitaria del nuovo corso. Fino a commissariare con il parlamentare Antonio Misiani. Ma di replicare agli insulti arrivati da Napoli non c’è molta voglia. “Ne parlerò a Salerno”, sorride e fugge lo stesso commissario. “Quel che dovevo dire l’ho già detto“, lo segue il napoletano Marco Sarracino, che già aveva espresso pubblicamente dubbi sulla necessità di un nuovo mandato, al di là delle regole che ancora lo vietano e delle trattative in regione Campania per modificare la legge elettorale e garantire a De Luca la nuova corsa.

Non è una questione all’ordine del giorno, ma sapete la mia battaglia come rappresentante della mozione Schlein in Campania contro i cacicchi, i signori delle tessere e contro i sultani. Mi pare che De Luca abbia scritto quel libro, ‘Nonostante il Pd’, noi invece nel partito ci stiamo, poi si vedrà”, taglia corto Sandro Ruotolo. “Nonostante tutto c’è una sinistra che si occupa di cacciare questo governo, di problemi reali”, replica sarcastico Arturo Scotto. E ancora: “Mi sembra che si affermi un Pd che si occupa delle cose vere, di salario minimo e difesa della Sanità pubblica, lasciamo perdere le polemiche”, taglia corto pure Roberto Speranza, non nuovo alle accuse di De Luca, che ne chiese pure le dimissioni da ministro ai tempi della pandemia. “Serve discontinuità su De Luca? Va fatta sui temi, chi non è d’accordo tiri le conclusioni, anche lui certo”, punge pure Laura Boldrini.

E la minoranza? C’è chi lo difende, come il sindaco di Pesaro Matteo Ricci: “Ha il suo stile, lo conosciamo. Ma è tra gli amministratori più forti che abbiamo. Non possiamo fare a meno di lui”. Chi invece è infastidito dai suoi soliti toni è Valeria Valente: “Erano parole da evitare, si sta in una comunità con grande rispetto per tutti. Poi, merito a lui come amministratore, ma quelle parole sono state inopportune”. E c’è chi sceglie la strada del silenzio. “La prego, abbiamo già parlato in direzione…”, evita cortese le domande lo stesso Bonaccini, che già tentò di mediare nelle vesti di presidente dem dopo lo strappo di De Luca e la mancata presenza del governatore alla kermesse organizzata a Napoli contro l’Autonomia differenziata. “Se mi imbarazzano i suoi insulti, sono accuse che colpiscono tutta la comunità Pd? Non parlo a nome di nessuno, se non di me stesso”, fugge via pure Lorenzo Guerini. E non è il solo. “Non parlo di queste cose”, va via infastidito Graziano Delrio. Come pure Piero Fassino.

Chi difende il padre, invece, è il figlio Piero De Luca, già polemico con il nuovo corso dopo la mancata conferma come vicecapogruppo alla Camera, voluta da Schlein, prima dell’estate. “Se mi imbarazzano i suoi insulti? No, nessun imbarazzo. Le parole sulla maleducazione, Forza Italia e l’accoglienza? No, non è così, andiamo avanti e costruiamo. Basta scorie delle primarie, concentriamoci sui problemi del Paese”, prova a tagliare corto.

Il padre aveva avvertito i vertici nazionali: “Dobbiamo costruire le condizioni per essere un’alternativa ed essere il Partito Democratico e non Lotta Continua che è un’altra cosa. Se dovevamo essere una forza di sinistra non c’era bisogno di fare il Partito Democratico”. Così Piero De Luca insiste sul nodo politico: “Abbiamo posto un problema di agibilità politica, di rispetto del pluralismo nel partito. Credo che la maggioranza stia iniziando a farsene carico. Guai a tornare a due partiti, Ds e Margherita”. Per poi tagliare corto sul libro del padre e governatore ed evitare altre domande: “‘Nonostante il Pd’ un primo passo fuori dal partito? Assolutamente no“. Tradotto, polemiche rinviate. Prima del nuovo voto in Campania c’è ancora un’eternità, per lo scontro c’è ancora tempo.

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