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Il Tribunale azzera l’inchiesta sul “re delle cripto” Ferrara: “Mr Blockchain”, non fece autoriciclaggio

“Mister Blockchain” non ha commesso autoriciclaggio. Natale Massimiliano Ferrara, l’imprenditore italiano che nell’ottobre 2017 realizzò la maggiore offerta pubblica iniziale (Ico) di criptovalute della storia nazionale, raccogliendo 27 milioni di dollari con la sua società svizzera Eidoo, è stato assolto dalla terza sezione penale del Tribunale di Milano. Il giudice Luigi Varanelli ha accolto la richiesta del Pm Stefano Civardi,che aveva chiesto l’assoluzione di Ferrara perché “il fatto non sussiste”. È stata smontata completamente così l’accusa iniziale di Civardi, secondo la quale Ferrara avrebbe violato la legge sul diritto d’autore e poi, “avendo conseguito profitti illeciti provenienti dai proprietari dei banner pubblicitari dei siti web da lui gestiti e sui quali divulgava illegalmente contenuti multimediali”, tra il 3 e l’8 dicembre 2017 avrebbe convertito 131,064 bitcoin in oltre un milione e mezzo di euro attraverso la piattaforma telematica dell’exchange The Rock Trading (Trt), fallita quest’anno. In seguito, secondo l’accusa, Ferrara avrebbe trasferito la somma su un suo conto corrente svizzero in Banca Arner.

Il processo aveva preso le mosse da una verifica antiriciclaggio condotta nel 2018 dalla Guardia di Finanza di Milano in Trt, che rilevò numerose irregolarità. L’udienza preliminare del 23 febbraio 2022 ha rinviato a giudizio il “re delle cripto” e di altri quattro clienti di Trt (tre italiani e un russo, non connessi a Ferrara), la prima udienza in terza sezione penale a Milano si era tenuta il 10 maggio 2022.

Ferrara, attraverso il suo avvocato Paolo Di Fresco dello Studio Lexia, aveva sempre affermato di non aver violato alcuna legge e che la sua innocenza sarebbe stata dimostrata dal fatto che le somme oggetto del processo derivavano non da ipotetici reati ma dal suo successo nella gestione di società attive nelle criptovalute. La difesa ha provato come i bitcoin contestati provenissero da fonti lecite e ha escluso che il denaro derivasse da un’ipotetica evasione fiscale in Italia, dimostrando che nel 2014 Ferrara ha trasferito il suo domicilio e i suoi affari in Romania dove pagava regolarmente le tasse. Contattato dal Fatto, l’avvocato Paolo Di Fresco non ha ancora commentato, rimandando a un prossimo comunicato stampa.

Ferrara, nato a Reggio Calabria il 4 marzo 1977, negli anni scorsi ha realizzato una serie di società in Romania, Svizzera, Irlanda, Bulgaria, Lituania e Italia. Come unico titolare di Eidoo, dopo aver raccolto a ottobre 2017 oltre 27 milioni di dollari attraverso una offerta pubblica iniziale dell’omonima criptovaluta, poi l’imprenditore il 30 novembre 2017 pur rimanendone amministratore ha ceduto l’intero capitale sociale della società svizzera alla holding Poseidon Group di Zugo.

Il processo per autoriciclaggio si basava su controlli del Nucleo speciale di Polizia valutaria della Guardia di Finanza di Milano sulla piattaforma di scambio (exchange) di criptovalute The Rock Trading (Trt), iniziati con una ispezione partita il 28 agosto 2018 e sfociati in un verbale del 18 dicembre 2018. L’esame dalla Guardia di Finanza sulle posizioni (i cosiddetti account) dei clienti di Trt rilevò anche l’operatività di Ferrara, che aveva movimentato oltre 3 milioni di euro sulla piattaforma di trading in criptovalute sia direttamente, attraverso account intestati a lui stesso, che indirettamente, attraverso le società Eidoo, che però non era coinvolta in nessun modo nelle accuse. Nel verbale del 2018 le Fiamme Gialle contestavano a Trt violazioni delle procedure antiriciclaggio previste dal decreto 231 del 2007 commesse a partire dal 27 novembre 2017, data di costituzione in Italia della società, in precedenza operativa a Malta, rispetto agli obblighi di adeguata verifica della clientela, conservazione e segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio. Secondo la Guardia di Finanza Trt non aveva compiuto l’adeguata verifica di 5.047 clienti (4.985 persone fisiche e 62 società) su un totale di 5.464, non aveva conservato adeguatamente i loro dati e non aveva segnalato all’Unità di informazione finanziaria di Banca d’Italia, l’autorità nazionale antiriciclaggio, le operazioni sospette di 47 clienti. Secondo il verbale, Trt non aveva predisposto un manuale antiriciclaggio a uso interno, i responsabili delle violazioni non avevano frequentato alcun corso di formazione e l’amministratore di Trt Andrea Medri era stato nominato responsabile antiriciclaggio solo il 26 settembre 2018, dopo l’inizio dell’ispezione. Nè Trt né i suoi amministratori e dipendenti comunque avevano subito procedimenti penali o civili per questa vicenda. Le contestazioni si erano concluse a luglio 2021: il ministero dell’Economia aveva comminato una sanzione da oltre 39mila euro ciascuno ai due amministratori di Trt, Davide Barbieri e Andrea Medri, che l’hanno pagata.

Della vicenda si trova traccia anche in una lettera inviata il 9 agosto 2019 dall’Unità di informazione finanziaria alla Procura di Milano, alla quale erano allegati “un rapporto e dettagli informativi relativi all’operatività” con un istituto di pagamento italo-maltese “di The Rock Trading, attivo nel settore della compravendita delle valute virtuali, di recente sottoposto a verifiche della Guardia di Finanza. Tra le posizioni approfondite nel documento si richiamava quella di Eidoo e soggetti collegati”. Secondo una nota di Trt di maggio 2022, “la sanzione aveva ridimensionato profondamente, anche in termini di perimetro dell’accertamento e delle effettive responsabilità di Trt, le contestazioni iniziali della GdF”. La società faceva sapere che le verifiche antiriciclaggio sulla clientela erano state delegate in outsourcing, come previsto e concesso dal decreto 231/2007 – a un istituto di pagamento italo-maltese autorizzato a operare in Italia. Trt “non riteneva corretto l’accertamento della GdF, pur comprendendo la difficoltà per l’autorità inquirente di dare applicazione (in sede di prima verifica) alla normativa antiriciclaggio che nel 2018 vide l’Italia, prima in Europa, recepire la quarta direttiva Ue”.

Ma The Rock Trading è poi “saltata” a febbraio di quest’anno dopo aver bloccato i fondi di migliaia di clienti in un “buco” di alcune decine di milioni di euro, sul quale indaga le procure di Milano con accuse di truffa e appropriazione indebita, con due inchieste condotte per i reati penali dai Pm Francesco Cajani e Maura Ripamonti, coordinati dagli aggiunti Tiziana Siciliano e Eugenio Fusco, e di possibili reati fallimentari e contabili con indagini in mano all’aggiunta Laura Pedio e al pm Pasquale Addesso. Il tribunale di Milano, con una sentenza del 14 aprile, ha poi deciso la liquidazione giudiziale (il “vecchio” fallimento) di TRT. Da febbraio migliaia di clienti attendono di poter recuperare le proprie criptovalute e le somme investite. Il Tribunale di Milano il 30 marzo aveva poi provveduto anche al commissariamento di Digital Rock Holding, società che controllava The Rock Trading, attraverso un amministratore giudiziario. La decisione era stata presa dalla Sezione XV Civile specializzata in materia di impresa (presidente Angelo Mambriani), “nell’ambito di un procedimento di denuncia di gravi irregolarità gestorie”. Intanto la Guardia di Finanza ha sequestrato chiavette e altri device di TRT alla ricerca degli asset digitali dei clienti. Su queste indagini, a oggi, pende un rigoroso riserbo.

Non è la prima disavventura giudiziaria per Ferrara. Il 22 aprile 2010 l’Unione Sarda diede conto dell’operazione “Little Angel” che portò al sequestro del maggior sito Internet italiano (linkstreaming.com) da dove anche 600 mila persone al giorno potevano vedere e scaricare, gratuitamente, film appena usciti nelle sale cinematografiche o addirittura non ancora arrivati in Italia. Secondo l’accusa scaturita dall’inchiesta contro la pirateria digitale e la violazione delle norme sul diritto d’autore condotta dalla Procura di Cagliari con i nuclei di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma, Torino, Reggio Calabria e Gioia Tauro, Ferrara, con lo pseudonimo Nata100, insieme ad altre cinque persone avrebbe registrato e gestito il sito ospitato su un server svedese e con uno di riserva in Francia. Per gestire i guadagni della vendita degli spazi pubblicitari sul portale, sempre secondo l’accusa, i sei indagati avrebbero aperto una sede parallela e un conto corrente in una banca di Panama. Il 25 maggio 2017 Ferrara fu assolto dal Tribunale di Pescara.