Cultura

Il Vajont torna a teatro, anzi in 130. Marco Paolini e il monologo che cambiò il racconto sul disastro di 60 anni fa: “Ecco la lezione che ci lascia oggi”

di Marco Ferri

Era la stagione teatrale del 1993 e sui palcoscenici italiani si tornò a parlare della tragedia del Vajont. Il racconto del Vajont del regista Gabriele Vacis e dell’attore Marco Paolini fu una “orazione civile” durante la quale venivano messi in sequenza i fatti che la sera del 9 ottobre 1963 causarono una delle più grandi tragedie della storia d’Italia Gli spettatori in teatro rimasero sedotti da quel teatro-narrazione che era denuncia vera e propria, tant’è che quattro anni più tardi l’opera conquistò anche la tv con immutato fascino. E fece conoscere quei fatti già così lontani nel tempo a chi ancora non li conosceva.

“Duecentosessanta milioni di metri cubi di roccia cascano nel lago dietro alla diga e sollevano un’onda di 50 milioni di metri cubi. […] Solo la metà scavalca di là della diga, solo 25 milioni di metri cubi d’acqua… Ma è più che sufficiente a spazzare via dalla faccia della terra cinque paesi: Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova, Faè. Duemila i morti”. Il monologo dell’attore bellunese, grazie a un ritmo incalzante e ai tanti fatti raccontati con precisi dettagli, si rivelava tuttavia un crescendo verso il drammatico finale, quando l’attore poneva davanti agli spettatori una grosse sveglia da tavolo e faceva “vivere” in tempo reale gli ultimi 30 minuti prima della tragedia: “Quella sveglia era prima di tutto un invito a me stesso a non perder tempo – dice l’attore -, ma effettivamente metteva ansia. Perché quando conosci l’esito, si crea un meccanismo di suspense, maledetto e micidiale meccanismo totalmente inventato, che non corrisponde alla realtà, una trappola per la nostra immaginazione. Nella realtà non siamo mai consapevoli della suspense, perché nessuno conosce il futuro. Ma in teatro serviva quel meccanismo, perché conoscevamo l’epilogo della storia“.

Adesso, a 60 anni dalla tragedia del Vajont e a 30 dall’orazione teatrale che ottenne grandi riconoscimenti, Il racconto del Vajont la sera del 9 ottobre 2023 diventerà VajontS 23, un’azione corale di teatro civile che si svolgerà in oltre 130 teatri in contemporanea dall’Alto Adige alla Sicilia e anche all’estero (con appuntamenti a Parigi, Edimburgo e Ginevra e Maiorca). In pratica grandi attori e allievi delle scuole di teatro, teatri stabili e compagnie di teatro di ricerca, musicisti e danzatori, maestranze, personale dei teatri e spettatori arruolati come lettori si riuniranno nei posti più diversi, dallo Strehler di Milano ai piccoli teatri di provincia, ai luoghi non specificamente deputati al teatro come scuole, chiese, centri civici, biblioteche, piazze di quartiere, dighe e centri parrocchiali, e ciascuno realizzerà un proprio allestimento di VajontS 23 sulla base delle peculiarità del suo territorio. E poi, tutti si fermeranno alle 22.39, l’ora in cui la montagna franò nella diga. Sul sito www.lafabbricadelmondo.org è possibile trovare la mappa completa dei gruppi che hanno aderito e dei luoghi in cui VajontS 23 andrà in scena il 9 ottobre.

A quel punto la storia del Vajont riscritta, 25 anni dopo il racconto televisivo, da Marco Paolini con la collaborazione di Marco Martinelli, non è più solo un racconto di memoria e di denuncia sociale, ma diventa una sveglia. Il racconto di quel che è accaduto si moltiplica in un coro di tanti racconti per richiamare l’attenzione su quel che potrebbe accadere. “Oggi il teatro non serve più a risvegliare la memoria – dice Paolini -. Raccontare quella storia oggi non serve per dire ‘povera Longarone etc…’. Raccontare quella storia 30 anni fa serviva a rendere giustizia a un torto perché la storia era collettivamente archiviata come ‘disastro naturale’. Riparato quel torto, perché nel frattempo anche i processi civili si sono chiusi e la memoria del Paese rispetto al Vajont è cambiata, quella storia è riconosciuta come disastro industriale, con la mano dell’uomo pesantemente implicata nella responsabilità”.

“Oggi ci serve ancora puntare il dito?” si chiede Paolini. Secondo l’attore e autore teatrale “oggi non si punta il dito sul torto e l’ingiustizia, bensì si ragiona sugli errori perché strategicamente non ce li possiamo permettere”. La storia del Vajont, sottolinea Paolini, “è composta di segni ignorati e ogni volta che accade qualche cosa che ci sorprende significa che non abbiamo elaborato la lezione. Dunque, oggi dal punto di vista della funzione civile del teatro, c’è quella di mettere insieme le persone per raccontare che siamo tutti potenziali vittime, ma che non siamo solo spettatori di questo destino”.

Quindi, riflette ancora Paolini, “la politica è lo strumento più importante che abbiamo a disposizione, dunque esercitarlo con il voto, con la pressione, con la determinazione a non farci distrarre dall’agenda della politica. Bisogna invece tenere ben presenti quali sono le nostre priorità rispetto all’acqua. Tutti capiscono che l’acqua è importante e il Vajont si collega all’acqua in tanti modi. È uno degli argomenti più semplici che fanno parte dell’Agenda 30 delle Nazioni Unite (per lo sviluppo sostenibile, ndr) è un punto di partenza per ragionare sulla complessità. Ma almeno su questo abbiamo una storia eloquente. Non c’è bisogno di tanti sermoni e di lezioni“.

Il Vajont torna a teatro, anzi in 130. Marco Paolini e il monologo che cambiò il racconto sul disastro di 60 anni fa: “Ecco la lezione che ci lascia oggi”
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