Mondo

“Credo che questa sia la fine”: i messaggi dal kibbutz della famiglia di Gaya. Rapito da Hamas il fratello 12enne

“Non so dove siano mia sorella, mio padre, mia nonna e mio cugino. Non sono stati trovati“. La disperazione di Gaya Calderon è la stessa di altre centinaia di cittadini israeliani che, da quando l’assalto di Hamas ha seminato il terrore nel sud di Israele e oltre, non hanno più avuto notizie dei loro cari. Times of Israel riporta la sua testimonianza: lei era a casa a Tel Aviv sabato mattina quando è iniziato l’assalto di Hamas. La sua famiglia, invece, era nel kibbutz Nir Oz, vicino alla Striscia di Gaza. A raccontare il panico crescente di quelle ore i messaggi che le arrivavano sul cellulare e che, di fatto, le hanno fatto vivere in diretta il sequestro del suo fratellino Erez, di 12 anni.

Tutto è iniziato quando un suo amico le ha telefonato e le ha detto: “Lo sai che Hamas e la Jihad islamica sono nel kibbutz?”. Immediatamente Gaya ha tentato di chiamare la sua famiglia ma non ha ottenuto risposta. Le è però arrivato un loro sms in cui dicevano che non potevano rispondere e che dovevano restare in silenzio. Poco dopo le è arrivato un messaggio di sua sorella Sàar, 16 anni, che diceva: “Sono così spaventata, Gaya, voglio piangere”, ha raccontato al Times of Israel. Poco dopo, un altro messaggio di Sàar le diceva: “(I terroristi) sono in casa, non mandare più messaggi”, e sulla chat di famiglia un altro messaggio: “Mamma, ti voglio bene”, poi più nulla.

La madre, che vive in un’altra abitazione dello stesso kibbutz, a sua volta le ha scritto: “Gaya, ho sentito degli spari, credo che questa sia la fine”. Lei è sopravvissuta. Quando i miliziani sono entrati nella sua casa, lei si è attaccata con tutte le forze alla maniglia della stanza in cui si era rinchiusa impedendo loro di aprirla. Anche suo fratello di 18 anni, che vive nel kibbutz, è sopravvissuto. La sua casa è stata distrutta e in parte incendiata.

Ma “mio fratello Erez era in un video, un terrorista lo stava afferrando e trattenendo. Non ho visto sangue su di lui, quindi posso solo sperare che stia bene”. Degli altri nessuna notizia. Ora, dice Gaya, “resto a casa e piango tutto il giorno, sono impotente”, ma, aggiunge, “ho fiducia nel mio Paese. Voglio riavere la mia famiglia. Aiutateci per favore”.