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Il Papa ha pronunciato la parola migliore per uscire dalla crisi di questi giorni: Palestina

C’è una piccola parola nell’Angelus domenicale di papa Francesco che indica l’unica possibilità di uscire realmente dalla crisi sanguinosa in cui sono precipitati Israele e il Medio Oriente. Nei pronunciamenti vaticani è sempre la sfumatura che conta.

A rileggere i comunicati di condanna degli Stati Uniti e delle capitali europee, a cui si sono aggiunti alcuni paesi di Africa e di Asia, si nota che si muovono tutti nel perimetro di un trinomio. Israele, terrorismo e Hamas. Come se il conflitto si giocasse tra Gaza, dominata da Hamas, e Israele. Naturalmente nei commenti si accenna con frequenza anche ad un ruolo negativo dell’Iran (che insieme al Qatar sostiene da molti anni Hamas) sebbene il segretario di Stato americano Blinken abbia dichiarato che l’Iran non ha giocato un ruolo da regista nell’operazione progettata da Hamas.

Rileggiamo ora l’appello del pontefice. Francesco esprime la sua vicinanza alle famiglie delle vittime e a quanti stanno vivendo ore di terrore e di angoscia, invita a fermare gli attacchi perché il “terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione, ma solo alla morte e alla sofferenza di tanti innocenti”. La guerra è una sconfitta, sottolinea, e poi conclude: “Preghiamo perché ci sia pace in Israele e in Palestina!”. Eccola, la parola: Palestina.

Come è possibile, infatti, isolare le vicende di queste ore dalla Questione palestinese tuttora irrisolta? Ha poco senso, da questo punto di vista, confrontare l’attacco su larga scala dei miliziani di Hamas con episodi come l’attacco alle Torri Gemelle o, più incongruente ancora, con attentati come quello alla discoteca Bataclan di Parigi. Le Torri Gemelle furono un atto terroristico di vendetta da parte di Al Qaeda. L’attentato al Bataclan fu un episodio dimostrativo tipico del terrorismo jihadista. La “guerra del 7 ottobre”, mesa in moto da Hamas, appare totalmente diversa: un’azione militare-politica preparata minuziosamente da mesi, basata su personale lucidamente e altamente motivato al punto di essere impermeabile ad uno dei sistemi di spionaggio più sofisticati ed efficienti del mondo (come quello israeliano), infine con una visione strategica precisa.

L’Europa ha la memoria corta, cortissima. Perché la storia ha molto da far riflettere. Quando negli anni ’50 del secolo scorso i Mau Mau scatenarono nel Kenya attacchi contro le truppe britanniche, compresi massacri di popolazione civile bianca, si trattava solo di atti di mero terrorismo o era il sintomo della rivolta contro l’occupazione del Kenya da parte di Londra? E quando in Algeria nello stesso decennio partì l’ondata di bombe contro i ritrovi dei coloni francesi, erano fenomeni di terrorismo e basta oppure il segnale di una rivolta contro l’occupazione da parte della Francia?

E’ drammatica in queste ore la pochezza di analisi dei vertici dell’Unione europea. Non è così in Vaticano. L’appello di Francesco per la pace “in Israele e in Palestina” significa che Israele ha il diritto totale di vivere sicura e serena nei suoi confini (richiamati dalle Nazioni Uniti nel 1967) e altrettanto diritto spetta allo stato di Palestina in Cisgiordania e a Gaza e nella parte araba di Gerusalemme. Libertà e sovranità spettano ai due popoli.

Scrive l’Avvenire, giornale dei vescovi, dopo una durissima condanna per i “civili e soldati israeliani barbaramente massacrati” dalle milizie di Hamas, che bisogna constatare che il “nodo palestinese è stato trascurato colpevolmente dalla comunità internazionale”. E gli effetti sono esplosi nell’ultimo weekend. Gli analisti più attenti concordano sul fatto che con i cosiddetti Accordi di Abramo il governo di Israele puntava a creare buoni rapporti con gli stati arabi depotenziando drasticamente la questione palestinese, riducendola ad una “curiosità storica” (copyright del quotidiano inglese Guardian). Per di più l’attuale governo Netanyahu, il più a destra della storia di Israele, non nascondeva il suo obiettivo di incamerare sempre più territori palestinesi in Cisgiordania, cancellando l’ipotesi di una “soluzione dei due stati”. Netanyahu, ha dichiarato Tamir Pardo, ex capo dei servizi segreti israeliani – il celebre Mossad – “ha messo al governo il Ku Klux Klan”, riferendosi ai ministri razzisti ed estremisti anti-palestinesi, presenti nella compagine governativa.

E’ in questo orizzonte che si spiega la rivolta politico-militare di Hamas. Non è un caso che la Conferenza episcopale italiana, nell’esprimere dolore e solidarietà alle vittime, esprima anche l’appello alla comunità internazionale affinché “compia ogni sforzo per avviare finalmente un percorso di stabilità per l’intera regione, nel rispetto dei diritti umani fondamentali”. Così si torna alle due parole chiave dell’intervento papale: Israele e Palestina. Finché non nasce lo stato di Palestina, l’area mediorientale non avrà una pace duratura. E’ quello che pensano molti stati del mondo, che non hanno rilasciato dichiarazioni fotocopia, simili a quelle occidentali, sull’attacco di Hamas. Perché la scena internazionale continua ad essere poliedrica e non segue lo stesso spartito dell’Occidente.

Rimane allora, anzi aumenta nella sua validità, una proposta di lungo respiro avanzata da papa Francesco nel 2022. L’idea di convocare una nuova “conferenza di Helsinki” planetaria per definire le regole della convivenza internazionale e favorire la chiusura di quella Terza guerra mondiale a pezzetti che sta insanguinando il nostro secolo.