A 50 anni di distanza dalla Guerra del Kippur, combattuta principalmente tra Egitto e Siria da una parte e Israele dall’altra, si ripresenta oggi un fatto simile che riguarda i retroscena dell’operazione “Tempesta al-Aqsa”, che Hamas ha lanciato contro Tel Aviv il 7 ottobre scorso. Alla vigilia della guerra del 1973, un alto ufficiale egiziano chiamato “La Fonte” e che molti ritengono fosse Ashraf Marwan, genero dell’ex presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, aveva avvertito il Mossad di un imminente attacco congiunto siro-egiziano. Anche questa volta, secondo le indiscrezioni dell’Associated Press, l’intelligence egiziana ha affermato di aver avvertito Tel Aviv che, però, ha ignorato i messaggi secondo cui Hamas stava pianificando “qualcosa di grosso”.

L’Egitto, che è stato il primo paese arabo a stabilire rapporti diplomatici con Israele negli anni ’70 e confina sia con Gaza che con Israele, ha storicamente svolto il ruolo di mediatore tra le fazioni israeliane e palestinesi. Il 7 ottobre, in una dichiarazione, il ministero degli Affari Esteri egiziano ha invitato a “esercitare la massima moderazione ed evitare di esporre i civili a ulteriori rischi”, mettendo in guardia sui “gravi pericoli” posti dall’attuale escalation. Secondo i media egiziani, poi, il ministro degli Esteri Sameh Shoukry ha lanciato una serie di appelli, anche ai suoi omologhi negli Stati Uniti, Russia, Turchia, Germania, Francia e Spagna, affinché “gli attori internazionali” intervengano immediatamente. Il giorno stesso il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha dichiarato ai media egiziani di aver ricevuto una chiamata dal presidente francese Emmanuel Macron in cui i due hanno discusso le modalità di coordinamento degli “sforzi per fermare l’escalation nella Striscia di Gaza”. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, intervenendo a In Mezz’ora su Rai 3, ha poi spiegato che “Egitto, Giordania e Arabia Saudita sono Paesi che giocano un ruolo chiave“, dichiarando infine di avere “un appuntamento con al-Sisi mercoledì” per chiedere “all’Egitto di svolgere una mediazione” ed “evitare un’escalation”.

Al-Sisi, che ad oggi ha mantenuto il blocco del confine con la Striscia di Gaza impedendo di fatto ai palestinesi di entrare e uscire dall’enclave, mette in guardia la comunità internazionale sul “pericolo che la situazione peggiori e sfoci in ulteriore violenza con il peggioramento delle condizioni umanitarie a Gaza”, esortando poi “Israele a fermare gli attacchi e le azioni provocatorie contro il popolo palestinese e ad aderire ai principi del diritto internazionale umanitario per quanto riguarda le responsabilità di uno Stato occupante“. Il capo della diplomazia egiziana Shoukry ha infine invitato il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a “mantenere le proprie responsabilità” e “mettere in atto misure per proteggere i diritti dei palestinesi”.

L’8 ottobre, secondo quanto afferma un funzionario egiziano, Israele ha chiesto aiuto al Cairo per garantire la sicurezza degli israeliani rapiti e il capo dell’intelligence egiziana ha contattato Hamas e il gruppo militante del Jihad islamico per chiedere informazioni. Reuters invece spiega invece che il ruolo di mediatore per la liberazione dei prigionieri israeliani è portato avanti dal Qatar, che è “in contatto con i leader di Hamas a Doha e Gaza da quando il movimento ha lanciato il suo attacco dalla Striscia” e che i colloqui “stanno procedendo positivamente”.

Twitter: @youssef_siher

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