Picchi di particolato fino a dieci volte più alti rispetto a dove l’aria può considerarsi pulita, valori di “black carbon” oltre dieci volte quelli nelle aree non esposte agli inquinanti, punte di biossido di azoto che raggiungono livelli superiori di quattro volte rispetto ai limiti di salvaguardia per la salute umana stabiliti dall’OMS. Tutto ciò in prossimità delle navi da crociera approdate a Trieste. È quanto emerge dal monitoraggio compiuto da Cittadini per l’Aria in collaborazione con le realtà ambientaliste locali e grazie al supporto tecnico del ricercatore Axel Friedrich, tra i massimi esperti nel settore e che, in Germania, ha contribuito con il suo istituto a portare alla luce il Dieselgate.

Perché Trieste? Primo porto in Italia per traffico merci, la città negli ultimi anni sta vedendo crescere considerevolmente il numero delle navi da crociera: sono stati 182 gli scali registrati nel 2022, almeno 50 in più rispetto all’anno precedente; mentre per il 2023 sono attualmente in programma 150 approdi. Numeri importanti, considerando che la prima nave da crociera ha attraccato a Trieste soltanto nel 2006.

Il rovescio della medaglia è però l’inquinamento, a cominciare da quello atmosferico: secondo uno studio pubblicato recentemente dalla prestigiosa rivista Lancet (si può leggere qui) l’inquinamento navale, nel capoluogo giuliano, provoca la morte prematura di quasi 80 persone all’anno. Un bilancio ritenuto “insopportabile” da Anna Gerometta, presidente dei Cittadini per l’Aria: “L’industria navale deve al più presto agire per ridurre il suo carico inquinante, è fondamentale sostenere con forza il processo verso l’adozione di un’area NECA nel Mediterraneo”. La quale comporterebbe, per le nuove navi, emissioni di biossido di azoto molto più basse rispetto a quelle attualmente previste. Dal 2025 il Mediterraneo sarà invece area SECA, il che prevede limitazioni nelle emissioni di zolfo: “Un primo traguardo, ma non è abbastanza”, osserva Gerometta.

I rischi per la salute sono infatti molteplici: “Gli inquinanti atmosferici emessi dalle navi come particolato, fuliggine, ossidi di zolfo e di azoto danneggiano la salute umana, l’ambiente e il clima – continua Gerometta – L’esposizione della popolazione al particolato e al biossido di azoto è associata a gravi problemi di salute come malattie cardiovascolari e respiratorie, ictus e cancro. Secondo uno studio italiano condotto a Civitavecchia, chi vive entro 500 metri dal porto – conclude Gerometta mostrando una mappa di Trieste – rischia una mortalità da tumore al polmone superiore del 31%, mentre il rischio di mortalità per malattie neurologiche cresce del 51%”.

L’inquinamento, spostandosi lontani dal porto, non scompare: come emerge da un grafico elaborato dall’Arpa nel 2018, infatti, tutta la città viene colpita dalle emissioni navali: “L’impatto delle navi da crociera e dei traghetti è largamente sottovalutato – osserva Axel Friedrich –. Chiunque può vedere i grandi sfiati che escono dai camini e che contengono grandi quantità di particolato ultrafine e di altri inquinanti come gli ossidi di azoto. Questo perché non esistono soglie di emissioni per le particelle, e i limiti per il biossido di azoto sono estremamente deboli”.

Durante i monitoraggi, compiuti nel porto di Trieste dal 30 settembre al 3 ottobre, il ricercatore tedesco ha misurato le concentrazioni di particelle ultrafini in uscita dai camini delle navi, oltre a quelle di “black carbon”, inquinante derivante dalla combustione incompleta dei carburanti e riconosciuto come potenziale cancerogeno per l’uomo, che ha raggiunto livelli di 7 μg/m3. Per quanto riguarda invece il biossido di azoto, gas che ha origine prevalentemente dalla combustione di olio pesante e gasolio, le sue concentrazioni sono arrivate a 95 μg/m3, un valore quasi quattro volte superiore alla soglia giornaliera indicata a tutela della salute umana dalle Linee Guida dell’OMS sulla qualità dell’aria.

“Si tratta di valori molto preoccupanti – osserva il delegato WWF del Friuli Venezia Giulia, Maurizio Fermeglia – specie considerando che in futuro è previsto un aumento del traffico marittimo, anche a Trieste. Si tratta di un danno per salute e ambiente, che dubito possa essere compensato da qualche caffè in più venduto in piazza Unità”. Legambiente Trieste, per bocca del presidente Andrea Wehrenfennig, punta il dito sull’ente pubblico che dovrebbe monitorare l’inquinamento nella Regione: “Non è normale che, a fronte di un traffico crocieristico di questa portata, non vengano fatte misurazioni dall’Arpa nei pressi del porto con costanza. In Veneto l’Arpa monitora l’inquinamento nel Porto di Venezia, qui invece non si fa nulla”.

Bisogna quindi rinunciare ai turisti? A smentire questa ricostruzione ci pensa Fridays for Future Trieste: “Invece del turismo mordi e fuggi delle crociere vogliamo un modello di turismo lento, che valorizzi il territorio e la sua cultura”, osservano Davide Bortolini e Pietro Prizzi. “Occorre informare la cittadinanza e organizzare la mobilitazione – continuano i due giovani attivisti – ben sapendo che il problema non si risolve spostando le navi da un porto all’altro: il loro impatto è negativo dovunque si trovino”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Marco Armiero: “Il Vajont tragedia di sistema, paradigma di una scienza al servizio degli interessi d’impresa”

next
Articolo Successivo

Test esplosivi (con l’ok della Regione) nel poligono chiuso dal Consiglio di Stato: gli attivisti sardi smascherano la fabbrica di bombe tedesca

next