Il feroce scontro scatenatosi dopo l’attacco di Hamas a Israele riconferma i terribili danni del nazionalismo, nella sua forma più incancrenita, quella che porta a disconoscere l’individuo in quanto tale dai confini in cui è rinchiuso, identificandolo con uno Stato o un governo che magari neppure approva.
Hamas colpisce ferocemente ragazze e ragazzi che volevano solo divertirsi, ballando e cantando ai margini del deserto. Dubito molto che fossero tutti nemici dei palestinesi, che condividessero necessariamente la politica del loro governo. Forse molti di loro sognavano anche un futuro di pace, ma sono stati ridotti a nemici, a carne da macello perché “israeliani”, quando probabilmente sono proprio le vittime dell’Israele oltranzista di Netanyahu e della sua vergognosa politica di espansione territoriale.
E non c’entra l’antisemitismo, non si tratta di una questione religiosa, qui la partita la gioca un odio ormai entrato nelle vene di molti abitanti della Striscia di Gaza. Da parte israeliana c’è stata immediatamente una scontata reazione, mirata non a colpire i veri responsabili della strage, ma gli abitanti della Striscia di Gaza tutti, anche loro in gran parte incolpevoli delle azioni terroristiche di chi li governa – che peraltro non hanno scelto, dato che in Palestina Hamas non indice elezioni da anni per paura di essere sconfitto. E così altri civili massacrati in quanto “Hamas”: ma quanti di loro ne condividevano le scelte?
Ciò che colpisce (o forse no) è l’immediata semplificazione e la conseguente polarizzazione del dibattito italiano, tanto sui social quanto in Parlamento. Comprensibile che sull’onda emotiva non si possa che essere contro un massacro così scellerato come quello dei terroristi di Hamas, ma pur condannando con tutta la forza una tale violenza non si possono cancellare le condizioni di prigionia e oppressione in cui sono costretti gli abitanti di Gaza dal 2005.
Due milioni di persone, non certo tutti terroristi, che hanno la corrente elettrica per tre ore al giorno, che non possono uscire dalla galera in cui sono rinchiusi. Dipingere un mondo in bianco e nero, fatto da buoni e cattivi come nei film di John Wayne, è più facile, semplifica la vita e agevola i conduttori di inutili talk show, ma non aiuta a comprendere la complessità dei fatti. E’ troppo semplice contrapporre democrazia a terrorismo, etichettando subito il buono e il cattivo.
Ripeto, condanno fermamente ogni forma di violenza, ma quanto è democratico uno Stato che caccia di casa famiglie intere per occuparle con i suoi cittadini? Che costruisce un muro degno della Ddr per separare un popolo? Le parole contano e se usassimo colonizzatore/colonizzato tutto assumerebbe un significato diverso.
Qualcuno ricorda lo Loḥamei Ḥerut Israel (Combattenti per la Libertà d’Israele), noto anche come Banda Stern? Un’organizzazione paramilitare sionista che lottava per liberarsi degli inglesi e fondare il nuovo Stato di Israele, compiendo numerosi attentati. I suoi membri erano definiti terroristi dai britannici. Tra di loro c’era Yitzhak Shamir, che divenne poi primo ministro, riconosciuto in tutto il mondo.
Questi tristi giorni meriterebbero silenzio, almeno da parte di chi non è in pericolo, di chi ha la vita facile. Per rispetto verso tutte le vittime innocenti. Tutte: chi si ricorda degli armeni cacciati qualche settimana fa dall’Azerbaijan? Dei Rohingia perseguitati in Nyanmar? “E le città sconfitte in fondo al fumo, e il sangue e l’innocenza di nessuno”.