di Michele Tamburrelli*

E come la si mette ora che anche un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è stato condannato per omicidio colposo? Certo, non era impossibile che accadesse ma certamente una tale condanna era considerata remota: si riteneva più probabile la condanna di un lavoratore (qualche sentenza si è già letta), verso il quale tutta la normativa è orientata alla tutela, che un RLS, una figura quasi considerata super partes, di garanzia.

L’impatto è forte, come quando scopriamo che vengono condannati, per esempio, appartenenti alle forze dell’ordine o magistrati che dovrebbero far rispettare le norme invece di essere accusati di violarle. Della sentenza di Cassazione Penale, Sez. 4, 25 settembre 2023, n. 38914, conosciamo il dispositivo ma non i fatti specifici che hanno portato alla condanna del rappresentante: lungi dall’essere un giudizio sul fatto specifico, le considerazioni che seguono sono relative ai principi contenuti nella sentenza e nella normativa.

Cosa ha fatto di così tanto grave la persona che riveste questo ruolo per essere stato condannato per omicidio colposo? Dalla lettura della sentenza pare non si sia dimostrato parte attiva del processo di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e non abbia appropriatamente interpretato l’art. 50 del dlgs 81/2008 (che ha sostituito ed implementato la famosa “626”). Sebbene in questa vicenda il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza non è l’unico ad avere subito condanne, la normativa assegna a questi una serie di prerogative che, evidentemente, se non esercitate, possono contribuire al verificarsi di infortuni anche mortali, come quello occorso all’ennesima vittima di incidenti sui luoghi di lavoro.

Serve allora maggior severità delle pene? Certezza del diritto? Maggiori controlli? Chi scrive ritiene che sia più importante intervenire sulla cultura che sta alla base dei comportamenti delle persone e sulla formazione di qualità delle figure interessate al tema della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Già assumere seriamente e con competenza il ruolo non è certamente semplice perché un documento della valutazione dei rischi, cioè il documento tecnico che rileva tutti i rischi aziendali, può contenere tecnicismi che un lavoratore che riveste il ruolo di RLS mediamente ha difficoltà a decifrare. Si pensi alla tematica della movimentazione dei carichi e ai movimenti ripetitivi e ai relativi strumenti di rilevazione, o ai fattori di rischio psicosociali e all’analisi degli elementi di contesto e di contenuto, spesso redatti da specialisti della materia, ingegneri e psicologi.

Inoltre ci sono aspetti “comportamentali” di gestione del ruolo che non si possono apprendere in maniera tecnica e asettica e che riguardano anche la relazione tra le diverse figure che animano il sistema della salute e sicurezza, ogniuno di stimolo per l’altra: datore di lavoro, dirigenti, preposti, responsabile della prevenzione e protezione, medico competente e istituzioni. La gestione del ruolo, il saper fare oltre al sapere, è dato anche dalla interazione con gli attori che hanno parte nel contesto della salute e sicurezza: sindacati, associazioni datoriali e, per loro tramite, enti bilaterali e organismi paritetici che hanno un ruolo di indirizzo e di intervento in questa materia.

Vediamo di fare qualche esempio per essere più chiari. Tra i compiti degli RLS definiti nell’art. 50 del dlgs 81/2008 c’è quello di partecipare alla riunione periodica (convocata almeno una volta all’anno dal datore di lavoro per discutere i problemi inerenti la sicurezza aziendale), di essere consultati nella redazione del documento della valutazione dei rischi, nella pianificazione della formazione e la possibilità di fare ricorso alle autorità competenti. Il DVR è responsabilità del datore di lavoro ma un RLS dovrebbe fungere da sprone e da stimolo per segnalare miglioramenti, cose che non vanno, dare suggerimenti. Diventare parte attiva in una riunione periodica con il datore di lavoro, o saper leggere o condividere un piano formativo, richiede una certa “presenza di ruolo” che va acquisita attraverso formazione e orientamento di qualità, altrimenti il rappresentante dei lavoratori rischia di partecipare passivamente a questi processi senza avere una reale e concreta possibilità di incidere sul sistema della salute e sicurezza.

Difficile trovare una riunione periodica dove venga tenuta traccia dei suggerimenti o delle osservazioni degli RLS, soprattutto se critici; altrettanto difficile è trovare un piano formativo effettivamente condiviso con il rappresentante della sicurezza. Agli RLS andrebbe suggerito, per esempio, di incontrare appena possibile i referenti della Agenzia di Tutela della Salute (ex ASL), nella fattispecie l’unità operativa prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro, competenti per territorio, per instaurare da subito un rapporto sinergico di collaborazione. L’RLS deve quindi diventare un interlocutore credibile e autorevole e non una figura neutra come a volte considerata in alcuni contesti lavorativi.

Gli organismi paritetici, costituiti da organizzazioni sindacali e datoriali, che hanno istituzionalmente, tra gli altri, il compito di elaborare la raccolta di buone prassi, programmare la formazione, promuovere lo sviluppo di azioni inerenti la salute e sicurezza, dovrebbero migliorare la loro azione e la loro efficacia proprio perché hanno la responsabilità di intervenire, anche per mezzo del responsabile per la sicurezza territoriale, soprattutto nelle realtà aziendali piccole o medio-piccole, dove generalmente gli aspetti della salute e sicurezza sono più trascurati e dove il più delle volte non esiste la figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

Diventa quindi fondamentale ritrovare un nuovo patto di lavoro tra sindacati, associazioni datoriali e istituzioni che hanno il compito fondamentale di incidere sugli aspetti culturali, di qualità della formazione certificata, di orientare i ruoli delle figure coinvolte nel sistema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e di “stare più vicino” agli RLS, per farli sentire meno soli.

* Laureato in diritto del lavoro e relazioni industriale presso la facoltà di Scienze Politiche di Milano, mi sono occupato della materia fin dai miei primi esordi nel sindacato, insegnando nei corsi ai rappresentanti sindacali, trattando i problemi vertenziali e di tutela dei lavoratori, relazionandomi con aziende del settore terziario, turismo e servizi. Appassionato anche della materia della formazione ho diretto per diversi anni un ente di formazione

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