Mossa a sorpresa a poche ore dall’assemblea straordinaria del Cnel convocata per votare sul documento di proposte sul salario minimo legale. Marcella Mallen, Enrica Morlicchio, Ivana Pais, Alessandro Rosina e Valeria Termini, esperti nominati nel Consiglio dal capo dello Stato Sergio Mattarella, hanno presentato un emendamento che auspica “a fianco dell’impegno a rafforzare gli istituti della contrattazione collettiva, l’introduzione temporanea di una tariffa retributiva minima che in via sperimentale verrebbe applicata solo ad alcuni settori, in particolare quelli con situazione più problematica e con oggettive evidenze di fragilità dei lavoratori non (ancora) risolte dalla contrattazione collettiva”. Ma anche “sulle fasce marginali – per lo più giovani, donne e immigrati – rispondendo al principio, che è poi il cuore dell’Agenda 2030, di ‘non lasciare indietro nessuno’, in una logica di inclusione, riduzione delle diseguaglianze e rispetto dei diritti e della dignità dei lavoratori, a partire dai più poveri”.
Le premesse messe nero su bianco dalla sociologhe Morlicchio e Pais, dalla presidente dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile Mallen, dal demografo Rosina e dall’economista Termini sono in palese contrasto con i contenuti del documento votato sabato nella Commissione dell’informazione con il no di Cgil e Uil. Documento che, come raccontato dal Fatto, sostiene che il salario minimo in Italia non serve, che “non è dato sapere l’impatto” che potrebbe avere “sul sistema economico e produttivo” e che sono “ancora non chiariti – e comunque ampiamente dibattuti – i possibili effetti sui singoli lavoratori e sulle dinamiche complessive del mercato del lavoro (disoccupazione, tassi di occupazione regolare, ecc.)”. Non è così, scrivono gli esperti, che non fanno parte della Commissione e non hanno dunque potuto contribuire al dibattito che ha portato alla stesura del testo: “Nella letteratura scientifica (come evidenzia, tra gli altri, anche il documento inviato da Banca d’Italia) non esistono solide evidenze di effetti distorsivi e impatto negativo su occupazione e salari in generale”.
Non solo: i cinque consiglieri sottolineano che il salario minimo per legge “se ben implementato all’interno dei meccanismi della contrattazione collettiva, non indebolisce ma rafforza la stessa”. L’opposto rispetto a ciò che il governo Meloni ha ripetuto per mesi, prima e dopo la decisione di affidare al Cnel presieduto da Renato Brunetta il compito di studiare la materia e presentare possibili soluzioni al problema della povertà lavorativa.
Meno dirompente la proposta vera e propria: anche il documento approvato sabato lascia aperto uno spiraglio a una “tariffa oraria” per le categorie più esposte alla povertà lavorativa, come lavoratori temporanei o a part time involontario, prevedendo che possa essere definita “tramite contrattazione”. L’emendamento dei cinque esperti ipotizza che la tariffa retributiva minima possa essere fissata “prendendo come riferimento i minimi retributivi dei contratti che, a seguito di un esercizio di natura comparativa sulla base di criteri condivisi da una commissione del Cnel e con riferimento ai parametri adottati dalla Direttiva Ue, vengano giudicati qualitativamente più protettivi per il relativo settore produttivo”. La sperimentazione, analogamente a quanto fatto in Germania, dovrebbe prevedere “un monitoraggio e una valutazione con il coinvolgimento delle parti sociali”. Potrebbe occuparsene il Cnel con il supporto di Inps, Istat e Ministero del Lavoro. Al Consiglio spetterebbe anche il compito di individuare “i settori e le categorie di lavoratori da cui partire con la sperimentazione”.