La procura generale aveva chiesto 30 anni per omicidio volontario, ma la corte ha assolto Marco Venturi imputato per il caso della stilista e fidanzata di 37 anni Carlotta Benusiglio, trovata impiccata con una sciarpa ad un albero nei giardini di piazza Napoli, a Milano, la notte del 31 maggio 2016. I giudici della Corte d’Assise d’appello Milano hanno ribaltato la sentenza di primo grado di condanna a 6 anni per “morte come conseguenza di altro reato“, ossia condotte di stalking sulla compagna. Venturi è stato assolto sia dall’imputazione della condanna di primo grado che da quella di omicidio.
Nel giugno 2022 era arrivato il primo verdetto. La giudice per l’udienza preliminare, Raffaella Mascarino, nel processo abbreviato, aveva deciso che non fu un omicidio ma che la morte, un suicidio o un atto dimostrativo finito in tragedia, fu causata dall’ex compagno, che avrebbe sottoposto Benusiglio per due anni a vessazioni, fisiche e psicologiche, e minacce. Oltre alla difesa, con il legale Andrea Belotti, che chiedeva l’assoluzione, anche la pm Francesca Crupi aveva presentato ricorso affinché Venturi venisse condannato per omicidio volontario (in primo grado aveva chiesto proprio 30 anni). La Procura, nelle circa 30 pagine di ricorso, aveva ribadito che la donna sarebbe stata strangolata quella notte, dopo l’ennesima lite, dall’allora compagno, il quale poi avrebbe inscenato il suicidio.
Venturi è passato negli anni da testimone a indagato per istigazione al suicidio in via di archiviazione fino ad accusato di omicidio. La Procura aveva evidenziato, in base a filmati delle telecamere, a cui hanno lavorato anche i legali di parte civile con una consulenza, la presenza dell’uomo sul “luogo del delitto”. E aveva ricordato l’ennesimo litigio tra i due durante quella serata in cui avevano bevuto molto e le discordanti versioni fornite dall’uomo. Sul caso pesano tre provvedimenti (gip, Riesame e Cassazione) con cui è stata respinta la richiesta d’arresto per omicidio e una perizia medico-legale che stabilì che si sarebbe trattato di suicidio. In più, un ultimo accertamento col quale un perito informatico, dopo l’esame di alcuni minuti di filmato di una delle telecamere della piazza, ha concluso che una macchia scura non era l’ombra di una sagoma umana, ma un “artefatto dovuto alla compressione dei pixel nelle immagini”.