La Commissione europea ha aperto un’indagine nei confronti di X ai sensi della legge Ue sui servizi digitali (Dsa). Lo annuncia il commissario Ue per il Mercato interno, Thierry Breton, facendo seguito alla lettera di richiamo inviata al patron della piattaforma, Elon Musk, sulla disinformazione e i contenuti terroristici, violenti e di incitamento all’odio apparsi online a seguito dell’attacco di Hamas in Israele. L’ultimo capitolo dello scontro tra l’Unione europea e le piattaforme digitali che operano nel suo territorio si consuma sulla guerra fra Hamas e Israele. A infiammare gli animi era stata la lettera del commissario per il mercato interno europeo Thierry Breton, indirizzata a Elon Musk e pubblicata su X il 10 ottobre. Breton richiamava all’ordine sia X sia Meta per il loro mancato impegno nel combattere messaggi di disinformazione presenti sulle loro piattaforme in maniera tempestiva come stabilisce il nuovo regolamento europeo Dsa (Digital Services Act), entrato in vigore lo scorso 25 agosto, che prevede nuove norme e responsabilità per le piattaforme in tema di disinformazione e diffusione di fake news.
“Caro signor Musk, in seguito agli attacchi terroristici compiuti da Hamas contro Israele, abbiamo avuto evidenze che la vostra piattaforma viene utilizzata per diffondere contenuti illegali e disinformazione nell’Ue”, scriveva Breton. Lo stesso messaggio è stato poi destinato anche a Mark Zuckerberg meno di 24 ore dopo. “Vorrei ricordare che il Digital Services Act stabilisce obblighi molto precisi per quanto riguarda la moderazione dei contenuti”, concludeva il commissario. A far scattare l’intervento sarebbero state diverse segnalazioni secondo cui sui social di Meta e su X stavano circolando notizie false sul conflitto: dall’approvazione di aiuti militari per Israele da parte dell’amministrazione Biden fino ad alcuni filmati di videogiochi spacciati per scene di guerra, come riportato dal sito specializzato Wired.
Lo scontro si è particolarmente intensificato con Musk, che con l’Unione europea e i suoi rappresentanti vanta ormai una lunga serie di aspre battaglie. Il miliardario sudafricano ha ribattuto affermando che la politica di X “è che tutto sia open source e trasparente, un approccio che l’Ue sostiene”, chiedendo poi alla Commissione di “elencare le violazioni su X a cui si allude, in modo che il pubblico possa vederle”. La risposta secca di Musk ha quindi innescato uno scontro diretto e personale fra i due che si è temporaneamente concluso con la contro risposta di Breton che ha accusato lo staff di X di essere “ben consapevole delle segnalazioni degli utenti e delle autorità sui contenuti falsi e sull’esaltazione della violenza” e che spetta alla piattaforma il compito di “dimostrare” di rispettare la legge. Nemmeno 24 ore dopo il botta e risposta, è arrivata però la correzione del tiro da parte della Ceo di X Linda Yaccarino, che in una risposta diretta alla Commissione europea ha affermato di “aver preso dei provvedimenti per rimuovere o segnalare decine di migliaia di contenuti” sull’attacco di Hamas nei confronti dello stato di Israele.
Il Digital Services Act (Dsa) è un regolamento europeo approvato definitivamente il 5 luglio 2023 che impone ai colossi del web di adottare precauzioni per contrastare la disinformazione sui social media. In particolare, vengono individuati una serie di limiti vincolanti che le aziende dovranno rispettare se intendono rimanere operative. Per le piattaforme che non adempiono sono previste multe fino al 6 per cento del loro fatturato globale. Musk non ha mai visto di buon occhio le limitazioni esterne imposte alla piattaforma da lui acquisita e tantomeno queste nuove norme che impongono restrizioni sulla libertà di espressione, che considera alla base dell’identità di X.
A maggio scorso, Twitter si è ritirata dal codice di condotta europeo facoltativo per combattere la disinformazione e in un report della Commissione, pubblicato nel gennaio del 2023, la piattaforma di Musk veniva definita come una delle peggiori in termini di trasparenza. Nel corso dei mesi Musk è finito nel mirino del braccio esecutivo dell’Unione anche per aver sospeso in maniera arbitraria gli account di alcuni giornalisti esperti di tecnologia che erano stati critici con lui, per la scelta di smettere di valutare la disinformazione legata al covid-19 e per aver dismesso la classificazione di “media affiliato allo stato” rispetto a contenuti provenienti da canali gestiti da regimi politici autocratici, tutte mosse che non sono state mai apprezzate dall’Unione europea.