di Stefano Briganti

Mi ha colpito ascoltare la lettura di un articolo pubblicato su uno dei più importanti giornali italiani. La sintesi era questa: “Imprimiamo nella mente le immagini d’orrore dei bombardamenti di Hamas su Israele e usiamole come bussola per non perderci quando, da domani, inizieranno le analisi dei perché di tale carneficina, quando ci diranno ‘sì, ma’”. Io quei “sì, ma” li vorrei ascoltare. Le immagini degli orrori prodotti dalle guerre devono essere tenute vive nelle menti, ma per evitare che altre guerre possano nascere e non per condannare solamente uno dei due contendenti dopo che la guerra è scoppiata.

Invece la narrativa per i due conflitti che insanguinano questi primi anni del XXI secolo è tutta incardinata sullo “status quo” e, come dimostra l’editoriale di cui sopra, invita il popolo a non cercare una visione diversa da quella dove esistono solo un “aggressore” e un “aggredito”.

Io credo che il popolo dovrebbe invece essere educato a capire le ragioni storiche, etniche, politiche, geografiche che sono alla radice dei conflitti. Dovrebbe conoscere ciò che è stato fatto, e soprattutto non fatto, nelle aree colpite dalle guerre. Infine dovrebbe imparare che la polarizzazione-semplificazione dello “sto con l’aggredito” perché è aggredito e del “sono contro l’aggressore” perché ha aggredito, impedisce di capire gli errori, che i propri (e altrui) leader hanno commesso e che hanno fatto si che il conflitto scoppiasse.

La Storia e il pensiero critico dovrebbero essere la bussola. È la Storia che ci indica gli errori da evitare per non far rinascere ogni volta gli orrori delle guerre del passato.

Invece no. Chi guida Paesi, organizzazioni e popoli attua strategie politiche, anzi geopolitiche con alla base l’esercizio di un potere, che portano in nuce il germe della conflittualità. Nel tempo poi il germe cresce e qui l’insipienza di chi guida, diviene ancora più colpevole quando si alzano voci sempre più forti e inascoltate che lasciano presagire il disastro. Quando poi il conflitto scoppia non si dovrebbe oscurare, elidere, mettere a tacere ciò che non si è fatto per evitarlo, stendendo sopra il tappeto del “conflitto dell’aggressore contro l’aggredito”, pretendendo di mantenere focalizzato il popolo solo su questo.

C’è una differenza sostanziale tra “comprendere” e “giustificare”. Un parricidio o un infanticidio non possono essere giustificabili come atti in se. Ma quando la follia scoppia se ne deve comprendere la motivazione profonda. Non si può liquidare tutto con un “sono dei pazzi” per evitare di comprendere e scoprire le inettitudini di chi aveva il dovere di fare e non ha fatto. L’aggressione della Russia all’Ucraina, così come quella di Hamas a Israele, generano gli orrori di una guerra e perciò non sono giustificabili. Potevano-dovevano essere evitati? Sì, certo. Una guerra si deve sempre evitare. Per capire cosa doveva essere fatto si deve andare indietro nel tempo e capire cosa è alla radice della motivazione dell’aggressione.

L’informazione dovrebbe essere lo strumento che permette alla gente di capire gli errori fatti da chi ha governato e qui, devo dire, si distinguono i media israeliani che vedono nella decennale politica di Netanyahu nei confronti della realtà palestinese la radice che negli anni si è rinforzata fino a generare l’attacco di due giorni fa. Per il conflitto russo-ucraino alcuni media Usa come il Nyt, il WP o inglesi come il Guardian e l’Economist talvolta sollevano quel tappeto che ha come trama i “buoni” del North Globe (la democracy) contro i “cattivi” della Russia (l’autocracy) e illuminano storie diverse.

La nostra informazione invece è quasi tutta appiattita sullo “status quo” e sul semplicistico “c’è un aggressore e un aggredito” oggi, dimenticando che anche ieri c’era un aggressore e un aggredito ma a parti invertite. Ci viene detto: non fatevi fuorviare dai “Sì, ma” e rimanete concentrati solo sull’orrore dell’oggi. Come se non ci fosse un domani e neppure un ieri.

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