di Dante Nicola Faraoni
La caratteristica che accomuna i recenti conflitti esplosi in Ucraina, Nagorno Karabakh e Israele è essere zone da moltissimi anni sottoposte a conflitti interni che la comunità internazionale non ha voluto risolvere. Quella comunità internazionale che invece ha imboccato la via della globalizzazione economica che doveva generare benessere diffuso e pace planetaria.
I conflitti di oggi sono il risultato, il fallimento di quelle scelte. Le idee del vecchio capitalismo riverniciate di nuovo hanno funzionato fino a quando i Paesi Arabi, la Russia e la Cina hanno iniziato a mettere in discussione la supremazia Usa. Domanda: “Se la concorrenza è un valore del libero mercato perché l’Occidente non dovrebbe accettarlo”? Risposta: “Perché la natura del libero mercato è il monopolio cioè il risultato del profitto senza limiti che porta inevitabilmente alla soppressione dei valori democratici e all’aumento delle disuguaglianze economiche”. La storia sta dimostrando che questo è il fondamento della globalizzazione economica.
Gli Stati Uniti, coinvolgendo la Nato, hanno alimentato il conflitto in Ucraina centrando 3 obbiettivi:
1. Bloccare l’espansionismo economico Russo.
2. Sbarrare alla Cina una delle “vie della seta” strategica per rafforzare i rapporti commerciali con il Nordest Europa.
3. Costringere la Ue a mantenere rapporti economici oltre oceano e a non espandersi verso Cina e Russia.
Le sanzioni contro la Russia hanno fatto dell’Azerbaigian un Paese strategico sia come transito per le esportazioni russe sia come fonte di materie prime per l’Europa. Questo è il motivo dell’attacco e dell’occupazione del Nagorno Karabakh da parte dell’Azerbaigian, con il benestare di tutti!
Il conflitto Israele-Palestina ha radici lontane, ma la sua recrudescenza ha ragioni molto più recenti. Israele è un Paese dove il turbo capitalismo ha arricchito una ristretta cerchia di persone. I dati rilasciati dall’Ocse ci descrivono un Paese con elevata disuguaglianza dei redditi; il 20% della popolazione vive in povertà. Oltre il 26 % delle famiglie non è in grado di coprire le spese mensili, più del 10 % non può permettersi cure mediche. Le condizioni economiche della Palestina sono drammatiche: il 36% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà; la povertà alimentare è aumentata al 23% in Cisgiordania e al 53% a Gaza. Nei territori occupati la disoccupazione è al 26%, a Gaza al 50%. Per 83% degli occupati la retribuzione è al di sotto del salario minimo (Dati Unctad).
La Palestina è di fatto uno “Stato” occupato da Israele che negli ultimi anni si è annesso unilateralmente molti territori assegnati nei trattati ai Palestinesi. Le relazioni tra le due comunità sono dettate da interessi di supremazia economica che i governi conservatori israeliani hanno sempre imposto. È anche difficile immaginare che in questa guerra non ci siano ingerenze e aiuti esterni visto gli importanti giacimenti di gas naturale che si trovano nel mare di fronte a Israele e Libano. Questi giacimenti riforniscono anche l’Europa, cosa di non poco conto. Dove c’è petrolio ci sono gli Usa! Hanno schierato la loro marina militare di fronte alle coste israeliane e libanesi; a difesa dei giacimenti o di Israele?
Di fronte a questa escalation di guerre è scandaloso vedere che i processi di pace soccombono al prevalere degli interessi economici di parte e all’incapacità degli organismi internazionali di intervenire. L’Onu è stato svuotato di ogni potere e non c’è nessuno in quei Paesi cosiddetti democratici che richieda la riforma in organismo parlamentare con poteri esecutivi, rappresentativo degli Stati e dei Popoli. Un Parlamento mondiale in grado di legiferare e votare risoluzioni. Non esiste in Italia un intellettuale, un politico che richieda una svolta in questa direzione. Soprattutto all’interno di quell’ampia schiera di sostenitori della Globalizzazione non c’è nessuno che faccia autocritica ammettendone il totale fallimento.
La pace si allontana, triste ma vero.