L’oscurità è senza forma, dice Anish Kapoor, artista indiano trapiantato da decenni in Inghilterra, che ora Palazzo Strozzi a Firenze celebra con una mostra (Untrue Unreal, dal 7 ottobre 2023 al 4 febbraio 2024). E’ forse questa la dichiarazione più efficace per sintetizzare la ricerca sul colore, la forma, l’oggetto e il suo superamento, che Kapoor porta avanti da tempo.
Prendiamo Non-Object Black, apparentemente un disco circolare nero collocato in una teca trasparente. Il disco è di un nero assoluto, realizzato in un materiale – il Vantablack – in nanotubi di carbonio, capace di assorbire la luce al 99,95%, e quindi di annullare ogni ombra, ogni profondità. Il disco sembra piatto, si staglia su un fondo bianco. Ma, visto lateralmente, rivela una palla sporgente, forma tridimensionale annullata completamente da questo nero assoluto. Che cos’è dunque vero, che cos’è falso? Che cos’è reale, che cosa irreale? Siamo piombati, con un semplice disco, nel cuore della ricerca di Kapoor, da cui il titolo della mostra. Se mettiamo questo nero assoluto sopra un drappeggio rinascimentale, dice Kapoor, ogni piega scompare, non la vediamo più. Dunque, in questo gioco tra essere e non essere, dove sta l’oggetto e dove la sua finzione? Altri oggetti circolari e neri che completano la sala spiazzano completamente la percezione: siamo davanti a dischi oppure a buchi neri, con tutto ciò che di simbolico questo implica?
L’occhio sprofonda nella propria incapacità di vedere, si scopre “non vedente”. Del resto l’esercizio costante dell’arte è quello di portarci a vedere l’invisibile, esperirlo attraverso oggetti che sono solo punte di un iceberg che ha un che di esteticamente trascendente. “Mi sono interessato sempre di più all’oggetto invisibile – dice ancora Kapoor – Una parte di esso sporgeva nel mondo, ma era il resto a essere veramente interessante”.
C’è un che di vertiginoso nelle opere di Kapoor: ogni opera sembra autosmentirsi nel momento stesso in cui si offre. Un misterioso parallelepipedo di cera scarlatta (Svayambhu, 2007) accoglie nella prima sala, collocato su una sorta di binario anch’esso di cera. Il parallelepipedo tocca e sfonda una delle grandi aperture delle immense sale di Palazzo Strozzi, testimone in purezza del Rinascimento fiorentino. Con un gesto di profanazione della sacralità laica di questi spazi equilibrati e armonici, il parallelepipedo sbuca con il suo binario nella sala adiacente, mentre scioglimenti di cera circondano tutta l’opera e il grosso monolite stesso, impiastricciando anche gli stipiti del portale. I binari, simbolo del viaggio, dell’andare da/a, vanno verso il nulla; la grande porta, che dovrebbe collegare o separare gli spazi, non li collega né li separa, ostruita dal gigantesco ostacolo. Che a sua volta è un finto ostacolo, un oggetto di cera che si scioglie. Tutto è contraddetto nel momento stesso in cui è affermato nella sua matericità.
La Endless Column (1992) sta solidamente piantata a terra e al tempo stesso si protende in alto fino a simulare lo sfondamento del soffitto. Terra/cielo, pieno/vuoto (nell’installazione site specific che accoglie i visitatori nel cortile del palazzo), bianco/rosso, cioè latte/carne in decomposizione, nascita/morte: tutto l’universo si costruisce su coppie di opposti che si (dis)integrano a vicenda, ponendo la questione di fondo: di nuovo, cos’è Untrue, cosa Unreal?
Tutto vacilla nel percorso di Anish Kapoor. Le ultime sale della mostra mettono in gioco la nostra stessa identità, attraverso specchi convessi e concavi riflettentisi gli uni negli altri che rimandano immagini impossibili, per cui passando davanti ci vediamo in forma fluida, rovesciata, ibridata da un senso di incertezza dello spazio e della percezione. L’identità diventa alterità, io è un altro. Baudelaire diceva che il bello è fatto di un elemento eterno, invariabile, e di un elemento relativo, occasionale, e che senza questo secondo elemento il primo sarebbe indigeribile. Anish Kapoor manipola oggetti, materia, pigmento, elementi molto concreti, per portarli verso il loro oltre. Come dice lui stesso, il ruolo dell’artista è stare tra la finzione dell’oggetto e l’oggetto stesso. Cioè tra l’eterno e il contingente.