Patrick Zaki, nella sua profonda ingenuità, non ha compreso di avere a che fare con un paese che deve semplificare al massimo la questione Israelo-palestinese. Commentare come ha fatto lui, via Twitter, che sembra che chi sostiene il popolo palestinese diventi automaticamente filo-Hamas e, sottolineando, di non condividere le idee del movimento islamista ha servito su un piatto d’argento la portata agli “semplificatori” della notizia.

Il primo è Fabio Fazio che annulla l’invito fatto a Zaki e, per questo, si meriterebbe di trasmettere Che tempo che fa su tele banane, verso le 23.30. Fazio, per anni strapagato dai contribuenti, aveva basato l’idea del suo programma sull’approfondimento e se è vero che questo è stato fatto in parte, soprattutto agli inizi, è utile notare come sia diventato un programma che propone sempre gli stessi volti.

A chiudere le porte a Zaki che ha dato del killer seriale a Benjamin Netanyahu è stato anche l’Arsenale della pace di Torino ‘per non cadere in polemiche’, scrivono. Ed è curioso che una istituzione dedita alla promozione della pace non capisca che questa di avvera solo attraverso il confronto delle idee. Zaki, per sua sfortuna egiziano e quindi arabo, ha scoperto che in Italia il dibattito deve essere monopolizzato da una parte. E che dire di essere contro Hamas ma per i palestinesi ti squalifica da ogni tipo di consesso.

È impossibile vedere la frammentazione e la complessità di ciò che avviene. Per forza se si è per la Palestina si è accusati di stare con Hamas. È accaduto lo stesso con la causa siriana: chi sosteneva la rivolta contro Assad è stato tacciato di essere con l’Isis. Non esiste, per l’analista italiano, per il dinosauro del giornalismo nostrano da Hotel a Sharm el Sheikh, una terza via: quella di richiedere diritti non abbracciando nessun movimento radicale. Benvenuto in Italia, Zaki.

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Pensati in un paese libero: quando il sistema mediatico fa fuori anche Zaki e Basile

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