A distanza di un mese, Matteo Salvini ha riproposto di avviare un reattore nucleare in Italia, nel centro del suo quartiere a Milano, sostenendo che la prima produzione di energia potrebbe avvenire entro il 2032. In un precedente post, avevo spiegato perché queste dichiarazioni servano in realtà a colpire la sua stessa maggioranza e in particolare la premier Meloni e anche il ministro dell’Economia Giorgetti. Infatti, in una finanziaria che si annuncia “lacrime e sangue” sarà già molto difficile trovare le risorse già per il ponte sullo Stretto, altro suo cavallo di battaglia, figuriamoci anche per la “rinascita” nucleare italiana.

Che cosa è cambiato rispetto agli annunci roboanti di settembre? Innanzitutto, in un solo mese la data di avvio si è già spostata in avanti di due anni: ora è il 2032 rispetto al 2030 inizialmente proposto. Abbiamo già spiegato molte volte che a causa della complessità tecnica e regolatoria i tempi attuali di costruzione per un reattore nell’Unione Europea considerando i progetti di Francia, Finlandia e Regno Unito sono dell’ordine di venti anni dal momento della decisione politica. Potrà l’Italia mettercene addirittura meno di dieci?

Ad aprile, il Financial Times ha analizzato il piano di rinascita nucleare di Macron in Francia in modo molto critico. La Francia è legata al nucleare, ma i reattori francesi sono vecchi (età media: circa 38 anni) e andranno sostituti. Il piano di Macron prevede di avviare il primo “nuovo” reattore solo nel 2037, tra l’altro in siti dove già ci sono altri reattori.

Quindi, secondo Salvini (e i fan del nucleare) sarebbe addirittura possibile che l’Italia (priva di una filiera nucleare) ci metta ben cinque anni meno della Francia (2032 anziché 2037), partendo con un handicap enorme: la scelta dei luoghi. Rischiamo già una procedura di infrazione europea perché dopo anni e anni non abbiamo ancora trovato dove mettere il deposito nazionale delle scorie nucleari dei nostri vecchi reattori. Figuriamoci quanto ci vorrebbe per trovare il posto per una nuova centrale, tra l’altro in un territorio densamente popolato e complesso dal punto di vista idrogeologico come l’Italia.

Quello che racconta il leader leghista (e il ministro dell’ambiente Pichetto Fratin, che cerca di mettere pezze a colore dove può, visto che non può andargli contro platealmente) è che però questa volta la proposta sarebbe diversa. Piuttosto che i “grandi” reattori (1-1.6 GW), che tanti problemi hanno creato, puntiamo invece sui “piccoli reattori modulari” (SMR, Small Modular Reactors da 30-300 MW). Gli SMR sono in realtà un’idea non nuova ma che che risale al 1950. Oggi, ci sono dei progetti avanzati in Cina e ne sono attivi un paio in Siberia da 30 MW. L’idea è che costruendoli altrove e trasportandoli sul sito e, usando del metalli fusi anziché l’acqua come sistema di raffreddamento, si dovrebbero tagliare costi e soprattutto tempi e avere impianti più sicuri.

L’ipotesi che un reattore pre-assemblato sarebbe stato costruito in modo più affidabile è già stata testata a Virgil C. Summer, in Carolina del Sud, nel 2013 e non è stata verificata. Il progetto è stato cancellato dopo che i costi erano saliti dai 9 a 25 miliardi di dollari e la compagnia Westinghouse ha dovuto dichiarare fallimento. Anche l’impiego di metalli fusi come il sodio (che nello specifico è esplosivo e infiammabile a contatto con l’acqua) ha presentato dei problemi. Lasciando da parte il caso del reattore francese Superfenix, basta ricordare che cosa è accaduto a Monju, in Giappone. Lì la produzione commerciale di energia non è durata un solo anno, non un solo mese, nemmeno un solo giorno ma addirittura una sola ora.

L’idea della costruzione in serie e assemblaggio nel sito può essere effettivamente interessante in aree remote e scarsamente abitate, dove la produzione e il trasporto di energia elettrica è problematica, come appunto la Siberia. Ma il quartiere Baggio di Milano non è esattamente la Siberia.

Io non sono contrario in modo ideologico al nucleare. Si tratta di una tecnologia anche affascinante dal punto di vista teorico con alcuni benefici, ma che è estremamente complessa. E l’estrema complessità porta inevitabilmente a situazioni imprevedibili. Gli incidenti di Three Mile Island, Chernobyl e Fukushima, che non sarebbero potuti accadere. I danni da corrosione ai reattori francesi che li hanno bloccati proprio in corrispondenza della crisi del gas russo non erano previsti. La situazione “estremamente fragile e pericolosa” (parole dell’AIEA, l’agenzia internazionale per l’energia atomica) dei reattori di Zaporizhzhia in Ucraina, non era nemmeno ipotizzabile. Il fermo del reattore sloveno di Krsko non era preventivato. Per non parlare dei già citati reattori di Virgil Summer o del fallimento di Monju.

Gli SMR sono quindi sono quindi un’idea anche apprezzabile, ma con ancora tante incognite, e che inevitabilmente richiederà tanto tempo per diventare eventualmente una soluzione di routine. Soprattutto, di fatto non esiste ancora a livello commerciale in nessun paese del mondo. E nemmeno chi investe in questi reattori si spinge a promettere un avvio per il 2032.

Chi potrebbe credere anche per semplice propaganda che invece in Italia con un progetto di Salvini “andrà tutto bene”?

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