Centocinquanta euro di ammenda: questa è la pena terribile comminata, con l’avallo della Cassazione, a chi ha permesso per anni che il mare di Termoli (Molise) venisse inquinato dagli scarichi, non trattati e maleodoranti, della fognatura comunale direttamente immessi in mare senza adeguata depurazione. Come quando, ad esempio, “il 12 settembre 2015 veniva riscontrata la presenza di una chiazza di colore marrone scuro emergente dal fondale marino, in prossimità della scogliera e nella parte posteriore del muro frangi flutti del porto; tale evenienza era dipesa dalla rottura della condotta del depuratore, in quanto i reflui dovevano essere rilasciati depurati alla distanza di circa due chilometri dalla costa, mentre nel caso di specie veniva rilevata una macchia fungiforme maleodorante a poca distanza anche dalla battigia frequentata dai bagnanti”.
E non fu certo un caso isolato. Le indagini della magistratura, infatti, accertavano che a Termoli furono più volte immessi vicino costa scarichi non depurati con “un carico contaminante costituito da un’elevata quantità di escherichia coli, microrganismo biologico di natura batterica proveniente dalle reti fognarie civili che, come precisato in dibattimento dal funzionario dell’Arpa Molise, pur non avendo un impatto significativo sotto il profilo ambientale, è invece pericoloso per la salute umana e, quindi, per tutto coloro che vengono a contatto con l’acqua contaminata”. Il tutto a causa della immissione, all’interno dell’impianto di depurazione, di “carichi eccedenti la capacità depurativa di progetto i quali affluivano all’impianto anche in assenza di precipitazioni meteoriche di particolare intensità”. Né si può dire che non lo sapesse nessuno.
La sentenza, appena pubblicata, della Cassazione (da cui sono prese le citazioni tra virgolette) spiega che l’impianto veniva fatto funzionare solo quando l’Arpa Molise effettuava i campionamenti, di modo che i campioni risultavano regolari; per il resto del tempo, andavano direttamente in mare senza depurazione.
Sono fatti veramente gravi. Ma, alla fine, pur se inizialmente si era contestato il delitto di inquinamento ambientale (reclusione da 2 a 6 anni e multa da 10.000 a 100.000 euro), si procedeva solo per la contravvenzione di “getto pericoloso di cose” (art. 674 c.p.) punita con l’ammenda fino a 205 euro o l’arresto fino a un mese, che riguarda, invece, chi in luogo pubblico getta cose atte ad offendere o imbrattare le persone; come accade quando non si raccolgono, ad esempio, gli escrementi del proprio cane. E così, si arriva alla terribile condanna a 150 euro di ammenda, che, però, nonostante l’avallo della Cassazione, non verrà neppure pagata, essendo intervenuta la prescrizione per decorso del tempo.
Resta solo la consolazione che, a livello di principi, in questa sentenza (appena pubblicata su www.lexambiente.it) la Suprema Corte riafferma con chiarezza che dell’inquinamento non risponde solo chi lo ha provocato direttamente, e cioè, in questo caso, la società che gestiva l’impianto di depurazione ma anche il funzionario comunale che aveva l’obbligo di “assicurare il corretto funzionamento e la necessaria manutenzione dell’impianto di depurazione, nonché di realizzare i lavori e le opere necessarie per consentire il corretto trattamento depurativo di tutti i reflui ivi convogliati prima dell’immissione nel Mar Adriatico”.