La Politica agricola comune dell’Unione europea ha perso negli ultimi dieci anni la sfida della sostenibilità a furia di veti, accordi al ribasso e flessibilità concesse agli Stati. Una perdita sia in termini di progettualità, sia sul fronte dell’attuazione. È il giudizio dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. E merita una riflessione, dato che sul tavolo della nuova Pac 2023-2027 ci sono oltre 35 miliardi di euro solo per l’Italia. Per questo, l’organizzazione indica con chiarezza il punto critico, sottolineando che finora le spese della Pac non sono ancora state allineate alle priorità ambientali e climatiche. Il sistema agroalimentare dell’Unione europea avrà anche dimostrato la sua resilienza in un contesto economico e politico in continua evoluzione, ma negli ultimi anni “la produttività agricola è aumentata a un ritmo più lento rispetto ad altri Paesi, mentre il settore non è in linea con le aspettative per quanto riguarda gli interventi messi in atto sul fronte della sostenibilità ambientale”. Una situazione definita “di stallo” quella descritta dall’Ocse, in un rapporto che analizza i risultati della Politica agricola comune 2014-2022 e degli strumenti messi in atto nei Paesi dell’Unione. Nel report, l’Ocse esplora anche il potenziale della PAC 2023-27, che rappresenta circa un terzo del bilancio dell’Ue, per raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo.
Crescita moderata e prestazioni ambientali sotto le aspettative – Come spiega l’Ocse, negli ultimi sessant’anni l’agricoltura dell’Unione europea ha ampliato la propria produzione passando da un modello di crescita basato sull’intensificazione a uno guidato dalla crescita della produttività. “Tuttavia, rispetto ad altri Paesi dell’Ocse – si sottolinea nel report – la crescita della produttività agricola a lungo termine nell’Unione Europea è stata più debole e, allo stesso tempo, in molti Paesi la biodiversità è diminuita, le emissioni continuano ad aumentare e la pressione sulle risorse idriche non si è allentata”. Morale: nonostante misure nuove e più mirate, nonché maggiori finanziamenti, le prestazioni ambientali non hanno soddisfatto le aspettative. “Questo stallo dei progressi non è dovuto a un’ambizione insufficiente o alla mancanza di risorse – aggiunge l’Ocse – ma a fattori legati alla progettazione e all’attuazione delle politiche”. Attualmente esiste, anzi, “un divario tra le ambizioni politiche in materia di sostenibilità ambientale e i risultati osservabili”.
Troppa flessibilità per gli Stati membri – A portare a questo punto, si racconta nel report, l’esito di un lungo processo di riforma politica che “si è spesso tradotto in un’eccessiva flessibilità per gli Stati membri e in una riduzione degli incentivi ad attuare politiche con chiare implicazioni per la sostenibilità ambientale”. Flessibilità ottenute dagli Stati che nel corso degli anni hanno imposto veti e condizioni e che hanno loro consentito “di scegliere opzioni a basso costo con benefici di sostenibilità limitati”. L’obiettivo, in vista della prossima Pac, è che agricoltori e i responsabili politici degli Stati membri si allontanino dall’approccio dello status quo”. Eppure non è un segreto come è andata a novembre 2021: dopo tre anni di complessa negoziazione e l’accordo politico al ribasso raggiunto mesi prima tra Commissione, Europarlamento e Consiglio, in plenaria il sigillo a pochi passi in avanti (come la condizionalità sociale volontaria con cui si dovrebbero negare i sussidi a chi sfrutta i lavoratori, ndr) e la conferma dello status quo. Ossia l’80% dei sussidi al 20% delle aziende agricole, le più grandi. Così, mentre le piccole fattorie scompaiono, si continuano a sostenere monocolture e allevamenti intensivi, dimenticando che il metano e il protossido di azoto emessi dall’agricoltura industriale sono gas serra più potenti dell’anidride carbonica. La sfida? “Procedere verso una politica dei sistemi alimentari più coraggiosa e lungimirante”, iniziando da una riflessione “sui diritti e sulle responsabilità degli agricoltori e sul peso finanziario attribuito al reddito rispetto agli obiettivi ambientali o di altro tipo”.
Il nodo dei pagamenti diretti – I pagamenti diretti rappresentano oggi lo strumento principale sia per il sostegno al reddito, sia per le misure mirate alla sostenibilità. Ma per l’Ocse, occorre separare le misure volte al sostegno del reddito (mirato verso le aziende agricole familiari a basso reddito) da quelle mirate alla sostenibilità ambientale, mettendo a disposizione maggiori finanziamenti per queste ultime, pur garantendo che non minino gli incentivi all’innovazione e al ricambio generazionale. Un approccio che va di pari passo con la capacità di verificare i risultati delle misure, introducendone la rendicontazione e delle attività che si va a finanziare, collegando i pagamenti diretti solo a quelle che portano a effettive performance dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Ad oggi, invece, il sistema consente di ricevere il sostegno a prescindere dai risultati effettivamente raggiunti. Una carenza che consente diverse zone d’ombra e sottrae risorse a interventi e attività che mirano a un vero cambio di rotta.