Calcio

C’è un piano Marshall nel calcio: creare una nazionale nello Stato che rischia di essere sommerso

C’è un piano Marshall anche nel calcio, 75 anni dopo quello politico-economico che, dal 1948 al 1951, portò allo stanziamento di 12,5 miliardi di dollari da parte degli Usa per risollevare l’Europa dopo la Seconda guerra mondiale: la nascita della nazionale dell’arcipelago oceanico. Marshall, capitale Majuro, 42mila abitanti, è l’unico stato del mondo a non avere una selezione che lo rappresenti nello sport più popolare del pianeta. Il 2024 potrebbe essere l’anno della svolta.

Il sito della Bbc ha svelato il 10 ottobre i connotati di questo progetto. C’è un cittadino inglese, Lloyd Owers, a occuparsi in prima persona di questa missione. Owers, 33 anni, esperienze calcistiche in Svezia, Canada e Stati Uniti, ha avviato tempo fa una serie di colloqui con il presidente della federazione delle Marshall, Shem Livai. Una volta raggiunta l’intesa sui connotati del progetto, Owers, nominato direttore tecnico, ha iniziato a girare in lungo e largo l’arcipelago, costituito da 29 atolli e 5 isole, a metà strada tra Australia e Hawaii. Il piano, varato nel 2020 con la fondazione della federazione calcistica, ha portato Owers a organizzare conferenze e a supervisionare gli allenamenti dei bambini. Il passaggio successivo sarà l’iscrizione alla Oceania Football Confederation, requisito fondamentale per svolgere l’attività ufficiale: l’obiettivo è celebrare l’esordio della nazionale delle Marshall tra luglio e agosto 2024. La maglia sarà blu e arancione, i colori della bandiera nazionale. Nella capitale Majuro stanno costruendo lo stadio, con una protezione marina: il riscaldamento globale sta infatti facendo innalzare il livello del mare e nel 2050, se non s’interverrà sul clima in modo serio, la metà dell’arcipelago sarà sommerso.

La questione ambientale è il problema numero uno di questa parte di mondo lontana dalle rotte principali. Le isole Marshall, scoperte dagli spagnoli intorno al 1526, entrate nel 1885 nella sfera d’influenza tedesca e poi cedute ai giapponesi nel 1919, occupate dagli Usa dopo la Seconda guerra mondiale, furono utilizzate dal governo di Washington tra il 1946 e il 1958 per realizzare 67 test nucleari. Gli abitanti dell’atollo di Bikini furono evacuati nel 1946 con la forza, ma in occasione di altri esperimenti, le radiazioni colpirono la popolazione. Solo una delle isole è stata “ripulita” dagli Stati Uniti. Le Marshall, indipendenti dal 1979, attendono ancora due miliardi di dollari di risarcimento da parte del governo Usa. Ci sono isole tuttora disabitate per il livello di contaminazione prodotto dai test nucleari.

Anche lo sport è stato condizionato negli ultimi 70 anni dalla cultura statunitense: la disciplina più praticata è infatti il baseball. Il calcio ha mosso i primi passi all’inizio del terzo millennio. E’ stata creata una lega locale e i club iscritti sono 21, con nomi inquietanti nella traduzione italiana: Calvario I°, Calvario II°, Mangiatori di persone, Regina della Pace, Movimento delle Stelle. Il più accreditato è il Kobeer.

“L’obiettivo delle Marshall – ha dichiarato Owers alla Bbc – non è solo sfidare le nazionali confinanti, ma anche partecipare all’attività della federazione oceanica e giocare le qualificazioni mondiali. La prima tappa è stata quella di coinvolgere la popolazione nel nostro progetto. A gennaio abbiamo aperto il profilo Twitter e la risposta è stata sorprendente: abbiamo già cinquemila followers, un ottavo dei marshallesi. Il calcio sta facendo conoscere questo arcipelago: il mondo non sapeva dove fosse collocato. Ora siamo chi siamo, dove stiamo e che cosa vogliamo. Parlare della storia recente delle Marshall e dei suoi problemi ambientali è positivo: bisogna sapere e aiuta a capire. Il problema dell’innalzamento del mare è molto sentito: la metà delle isole dell’arcipelago è destinata a essere sommersa entro il 2050. Il calcio può fare molto per le Marshall: attirare l’attenzione sull’impatto del cambiamento climatico in questo arcipelago, se i correttivi ambientali non saranno attuati con urgenza, è forse l’ultima carta per evitare il disastro”.

Foto di Olaf Kraus da Pixabay