Sono giorni cruciali per le trattative sulla prima legge Ue contro azioni e querele temerarie (le cosiddette SLAPP). Eppure nessuno ne parla. Il testo è stato concepito per tutelare la partecipazione pubblica di giornalisti, attivisti e difensori dei diritti umani. Ma gli Stati membri stanno tentando di indebolire il documento proposto dalla commissione Ue e nelle trattative in corso tra le istituzioni, che coinvolgono anche il Parlamento, si sta cercando un compromesso. Nella speranza che il risultato non stravolga l’intento originario. Per questo gli attori della società civile che sono parte della coalizione anti-SLAPP (CASE) si appellano ai ministri della Giustizia dei singoli Stati. Che però non stanno mostrando aperture. A mancare è prima di tutto una consapevolezza del fenomeno. “I Paesi, nonostante le raccomandazioni della commissione, non hanno neanche iniziato a raccogliere i dati”, spiega a ilfattoquotidiano.it Sielke Kelner, ricercatrice di Osservatorio Balcani Caucaso e membro di CASE. E senza dati è difficile qualsiasi intervento. Per ora, a raccogliere le minacce legali subite da cronisti e attivisti sono piattaforme indipendenti come il Mapping Media Freedom o la stessa CASE. Ma serve qualcosa di più. La direttiva è stata presentata come un’iniziativa in onore della giornalista uccisa Daphne Caruana Galizia, ma come denunciato dal figlio a luglio scorso “se resta così non l’avrebbe mai tutelata” ed “è un grave torto verso i suoi colleghi in tutta Europa”. Ecco perché, dice Kelner, “siamo preoccupati ma è necessario cercare di influenzare il processo finché c’è ancora spazio di manovra”. Di questo e di come creare una rete di sostegno europea si parlerà a Roma, lunedì 16 ottobre, al primo evento di CASE Italia “Per una rete transnazionale di contrasto alle SLAPP: contro i bavagli alla partecipazione pubblica”.

A luglio avete scritto al ministro Nordio per chiedere aiuto. Avete avuto una risposta?
No, nessuna. Ora abbiamo chiesto un incontro. Siamo in un momento cruciale delle trattative.

Possibile ancora arrivare a un compromesso per voi accettabile?
Lo speriamo. Il testo della Commissione e poi la proposta del Parlamento sono solidi, ma la proposta avanzata dal consiglio dell’Ue, espressione della volontà degli stati membri, ne ha ristretto il campo di azione, indebolondolo. Tutto dipende da come andranno i negoziati.

È tutto in mano agli Stati?
Sono loro a essere riluttanti. Spero che ci sia ancora margine di manovra, ma siamo preoccupati. Perché se gli Stati membri continuano a opporre la propria resistenza, qualcuno dovrà cedere.

Doveva essere la legge per la libertà di stampa in onore di Daphne Caruana Galizia. Il risultato deluderà tutte le aspettative?
Tutti hanno l’interesse di presentare un risultato e chiamarlo successo a prescindere dal fatto che protegga o meno giornalisti e attivisti. Questo significa che se passa una direttiva inefficace, non in grado di proteggere i bersagli delle azioni temerarie, nessuno ci rimetterà mano a breve. Quindi è importante che, finché c’è ancora spazio di manovra, si cerchi di influenzare il processo.

Cosa chiedete?
Servono delle garanzie procedurali. La prima è la possibilità da parte del giudice di dichiarare inammissibili i casi manifestamente infondati o esagerati: gli Stati l’hanno ridotta ai casi con “una pretesa così palesemente infondata” senza “ogni ragionevole dubbio”. E questo ne riduce l’applicazione.

Che fine ha fatto la possibilità che ci sia un risarcimento danni per chi subisce una querela temeraria?
Nel testo proposto dagli Stati membri è sparita. Questo sarebbe un forte deterrente: chi abusa dell’istituto della diffamazione ci pensearebbe su due, tre volte prima di avviare un’azione legale se ci fosse la certezza di essere obbligato a pagare un risarcimento danni nel caso di abuso di processo.

Che effetti può avere la direttiva sulle leggi dei singoli Stati?
Si auspica un effetto domino. Il testo proposto dalla Commissione disciplina solo i procedimenti di natura civile con carattere transfrontaliero. Poniamo il caso che il testo venga approvato in questa formulazione. Se siamo in un’aula di tribunale in Italia e stiamo dibattendo di un caso che ha una natura transfrontaliera e il giudice gli accorda maggiori garanzie rispetto a un caso che ha solo una natura domestica, è chiaro che si produce una contraddizione. Ci si auspica che una direttiva forte si porti dietro poi un’evoluzione della giurisprudenza.

Perché è importante e non solo per i giornalisti?
L’azione temeraria mira a limitare la libertà di espressione su questioni di pubblico interesse. Può riguardare la salute, la sicurezza pubblica, l’ambiente, i diritti. Ad esempio, se un’attivista o una giornalista viene colpita da una SLAPP perché ha protestato o scritto di vicende che riguardano territori nei quali siano stati riversati rifiuti tossici, questo deve interessare tutti noi, è una questione di interesse pubblico. Per capire il peso che hanno le SLAPP sulla società, possiamo chiederci quanti articoli non sono mai stati pubblicati perché il giornalista o l’editore non li hanno scritti per paura di incorrere in un’azione legale? Questo è il peso delle SLAPP.

Tutela non solo i giornalisti quindi?
Ad esempio riguarda anche i whistleblower. Penso a Francesco Zambon, ex funzionario dell’OMS a cui è arrivata una richiesta di risarcimento danni da 2,5 milioni di euro da parte del direttore vicario dell’OMS dopo le sue denunce sulla gestione della pandemia. Oppure gli attivisti ambientalisti. Come Recommon, ong citata in giudizio per le azioni di campagna contro Eni sul cambiamento climatico.

Negli anni le querele temerarie sono aumentate?
Difficile dirlo non avendo dati raccolti in maniera sistematica.

Perché gli Stati non lo fanno?
Parliamo di una nozione che viene concettualizzata alla fine degli anni ’80 negli Stati Uniti. Ma in Europa, la presa di coscienza arriva solo nel 2017 con la morte di Daphne Caruana Galizia. Quando la giornalista maltese viene fatta saltare in aria, ha 46 cause aperte. Sono azioni temerarie, molte delle quali intentate da politici del governo maltese e una dal premier. Daphne Caruana Galizia muore senza avere accesso ai conti bancari, congelati da un ministro che aveva intentato una causa nei suoi confronti. Il lavoro della sua famiglia è stato fondamentale per arrivare alla proposta di legge europea.

E in Italia?
In Italia c’è una tradizione di politici che querelano parecchio. E’ una caratteristica che ci pone più vicini ad alcuni Stati del Centro ed Est europeo, ad esempio la Serbia, la Polonia. Abbiamo tanti politici che ricorrono alle azioni temerarie per cercare di silenziare le critiche. E questo va contro tutta la giurisprudenza della Corte di Strasburgo secondo cui se sei una figura pubblica devi tollerare livelli di critica più alti. Un po’ perché è il tuo mestiere e un po’ perché se vuoi rispondere hai tutti i microfoni per farlo.

Avremo mai una legge contro le querele temerarie?
Attualmente ci sono cinque disegni di legge in discussione alla commissione giustizia del Senato. Il loro impatto è molto marginale. Teoricamente rispondono a un invito della Corte Costituzionale al Parlamento per una riforma complessiva dell’istituto della diffamazione.

Intervengono per togliere la pena detentiva, non basta?
La Consulta ha già dichiarato incostituzionale il carcere per diffamazione, tranne in casi di estrema gravità. Alcuni tratti dei disegni di legge sono veramente preoccupanti perché innalzano le sanzioni. Uno dei ddl introduce addirittura una pena accessoria diretta ad una temporanea interdizione dalla professione giornalistica. Sembra quasi che l’intento sia più tutelare chi querela che non il querelato, dando per scontata una sorta di malafede del giornalista.

Siamo tra i peggiori su questo fronte?
Qualitativamente tra i peggiori. Sono tantissime le figure di altissimo livello che ricorrono alle azioni temerarie, o ne minacciano il ricorso, e questo è molto preoccupante.

In Europa quanti sono i casi di presidenti del Consiglio che hanno querelato giornalisti?
Che noi sappiamo è successo a Malta e in Italia. Il primo ministro maltese era Joseph Muscat, che aveva querelato per diffamazione Daphne Caruana Galizia, questo ci accosta al peggior caso di studio Ue. Per questo sia Mapping Media Freedom sia CASE stanno monitorando i processi in corso che coinvolgono l’attuale premier italiana: oltre a quello che ha coinvolto Roberto Saviano, lo scorso novembre ha avviato una causa contro Domani. Mentre la sorella ha querelato Natangelo, vignettista del Fatto quotidiano. Prima delle cause di Meloni, limitandosi solo a esempi che hanno coinvolto le cariche più alte dello stato, ricordiamo le querele di De Mita a D’Alema (1988), D’Alema a Forattini (1999) e Berlusconi contro D’Avanzo (2009).

Dopo che gli Stati hanno inserito la possibilità di spiare i giornalisti nell’European Media Freedom Act, ora il rischio che sia annacquata anche la direttiva sulle querele temerarie. Come leggete questi atti?
La volontà politica che ci sta dietro è molto preoccupante.

Cosa può fare la società civile?
Fare rete. Io ricordo il caso di una rivista studentesca di Lipsia, “Luhze”, alla quale una società immobiliare tedesca chiese un risarcimento danni di 25.000 euro. La causa è stata ritirata dopo la mobilitazione locale. I giornalisti che hanno il dono della scrittura devono scrivere, gli attivisti fare da cassa di risonanza e gli avvocati prestare le loro competenze. Solo creando una massa critica, in Italia e fuori, possiamo sperare di arrivare a influenzare il processo decisionale.

Una legge europea forte contro le azioni temerarie può aiutare la partecipazione?
La commissione Ue definisce giornalisti e attivisti come “public watchdog”, ovvero dei guardiani dell’interesse pubblico. Una stampa e un attivismo in salute sono fondamentali per il processo democratico. Ed è interesse di tutti che siano tutelati.

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