Si può nascondere per anni perché ci si vergogna di farsi vedere mentre si vomita. Si tenta di controllarla, ma il rischio è che sia lei a controllare te, la tua mente. È l’emetofobia, letteralmente: la paura di vomitare. Ha confessato di soffrirne anche Bella Ramsey, attrice protagonista della recente serie tv molto apprezzata, The Last of Us. Bella ha dichiarato che “La cara vecchia emetofobia”, così la definisce, “controllava la mia mente fin da quando ero piccola e si è sviluppata nel corso degli anni, peggiorando gradualmente fino a quando ho lasciato che fosse lei a dettare ogni mia mossa. Questo poteva significare evitare di uscire al sole nel caso in cui avessi avuto un colpo di calore, portare con me ovunque delle pastiglie di rimedio per l’ansia, non mangiare cibo da asporto, e l’elenco potrebbe essere lungo”. Poi grazie a un programma di salute mentale, Bella ha dichiarato di avere imparato “a capire come funziona il mio cervello, che la fobia non era una cosa che mi succedeva, ma che ero io a crearla, quindi spettava a me fermarla”.
“La paura di vomitare è uno degli effetti di una fobia”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Claudio Mencacci, copresidente Sinpf (Società italiana di neuropsicofarmacologia) e Direttore emerito di neuroscienze al Fatebenefratelli – Sacco di Milano). “Le fobie possono interessare situazioni che riguardano insetti, animali o la paura di elementi ambientali naturali, come quella per i temporali, l’acqua, ecc. Ci sono poi le fobie verso il sangue, le ferite, le deiezioni o legate a condizioni chiamate ‘situazionali’, come la paura di stare in ascensore, in luoghi chiusi, in ospedale. L’emetofobia è catalogata nelle cosiddette ‘altre’ fobie. E riguarda tutta una serie di paure che portano a sentirsi soffocare o, appunto, vomitare. Un elemento tipico dell’emetofobia è il bisogno di tenere sotto controllo totale la realtà e il proprio corpo”.
E come spesso succede con questi disturbi, tutto nasce durante il periodo dell’infanzia.
“Sì, prevalentemente nel genere femminile. L’episodio di partenza è una o più casi di gastroenterite. In altre parole, il bambino ha vissuto un momento in cui si è sentito particolarmente male, si è spaventato di quella condizione e l’ha associata a un alimento o a una situazione emotiva per la quale ha accusato una gastroenterite. Non è riuscito a vomitare ma ha avuto una forte sensazione di ansietà e malessere, fino quasi ad avvertire panico”.
Un’esperienza che si porterà “addosso” negli anni.
“Quell’esperienza congela un’emozione associata a vergogna e perdita di controllo. Qualunque condizione che genera disturbi gastrici evoca quella sensazione originaria di prossimità al vomito che porta di conseguenza la persona a evitare le situazioni che precedono la possibilità di avvertire nausea. Di fatto, le fobie nascono da idee che si amplificano emotivamente nella mente e che portano a evitare di continuo situazioni di ‘pericolo’”.
Ci sono altri elementi scatenanti?
“La condizione di ansia sociale, che è la paura del giudizio degli altri, in cui la nausea incombe: la persona non potrà certo farsi vedere vomitare e sperimentare così un senso di vergogna. Non è poi da sottovalutare come attualmente i social contribuiscano ad aumentare la paura del giudizio degli altri”.
Una condizione che peggiora sicuramente la qualità della vita.
“Chi soffre di emetofobia, andrà poche volte al ristorante e, se accetterà di farlo, starà attento agli odori che ci sono e, in particolare, si sistemerà più vicino possibile alla toilette per crearsi una via di fuga qualora subentrasse il senso di vomito. In più chi ne soffre diventa molto selettivo sul cibo o mangia poco prima di uscire, sempre per paura di sentirsi male. Ma i disagi non si fermano qui. Viaggia poco per il rischio di avere mal d’auto o mal d’aereo ed evita farmaci che possano dare sintomi di nausea. Le rinunce arrivano fino a quello della maternità a causa delle nausee in gravidanza”.
Lei ha parlato anche della tendenza a un controllo totale.
“Alla base c’è la paura del proprio corpo. Chi ne soffre è portato ad auto-ascoltarsi di continuo, alla ricerca di possibili sintomi, come anche un semplice movimento dello stomaco per, eventualmente, prevenire la nausea. C’è anche un altro elemento che rinforza questa fobia. Viviamo una società sempre più ‘sterilizzata’ nella paura di un’intossicazione alimentare e questo agisce da ulteriore fattore scatenante”.
L’ideale sarebbe identificare questa fobia più in fretta possibile, ma come riconoscerne i sintomi?
“La paura del vomito è tenuta per sua natura nascosta per cui è difficile riconoscerla. Si può cercare di notare se la persona tende a evitare costantemente certe situazioni o avverte molta ansia anticipatoria di fronte a situazioni che hanno a che fare con la possibilità di disturbi di stomaco”.
Che tipo di terapia viene suggerita?
“Abbiamo osservato un aumento dell’emetofobia verso i 30 anni. Una situazione che si è evidentemente trascinata dall’infanzia strutturandosi poi in un tipo di approccio alla realtà che tende a limitare enormemente tutta una serie di azioni per evitare di sperimentare certe paure. In questo caso si attua una ristrutturazione cognitiva in modo che tutte le idee che spaventano siano ri-lette e de-potenziate di quell’impatto emozionale che porta all’evitamento di situazioni considerate a rischio. L’obiettivo minimo è quello di migliorare la qualità della vita del paziente, anche, se occorre, con l’aiuto di farmaci specifici”.