di Cristian Giaracuni

Davanti alla mostruosità della violenza che fa male al nostro mondo, noi “occidentali” rispondiamo con la solita miope ipocrisia che ci impedisce di riconoscere le nostre responsabilità, mossi dal solito spirito di vendetta, che annebbia la vista, annienta la ragione e libera l’odio cieco verso il nemico di turno. E che non ci consente di capire quanto vittime e carnefici siano categorie tutt’altro che definite.

Inorridiamo davanti ai corpi mutilati degli israeliani e insultiamo le “bestie” di Hamas rimproverando loro l’assenza di limiti e di onore. Ma quei limiti sono i nostri. Sono i limiti della nostra morale che dal caldo delle nostre poltrone e delle nostre vite sicure e pacifiche pensiamo siano universalmente applicabili, mentre ci ostiniamo a rifiutare la comprensione delle cause di ogni abominio, come se avessimo paura di riconoscere i nostri volti riflessi in quelli dei terroristi.

Io deploro la violenza di Hamas e la spietatezza con cui hanno falciato la vita di esseri umani innocenti. E così fa, giustamente, chiunque viva da questa parte del mondo. Ma non posso non osservare quanto quella violenza sia il frutto avvelenato di altra violenza, di una malapianta che cresce da decenni, alimentata dallo spirito di vendetta. Hamas non è sbucato dal nulla ma è il prodotto della radicalizzazione di un’istanza sacrosanta: la libertà del popolo palestinese. La libertà soprattutto di una striscia di terra che è diventata negli anni una prigione a cielo aperto, i cui abitanti sono stati privati di ogni diritto e costretti ad una condizione inumana di minorità da un oppressore che si chiama Stato di Israele.

Ai figli dei palestinesi è stato imposto di crescere in un grande ghetto dai confini presidiati, senza speranza e senza dignità, mentre l’occidente guardava fischiettando altrove. Quell’occidente che si è schierato acriticamente al fianco dell’Ucraina aggredita contro l’oppressore russo e ora si schiera, con agile piroetta, con l’oppressore israeliano, esortandolo alla vendetta (chiamandola difesa) contro il popolo oppresso di Gaza. Un popolo oppresso per decenni, che non conosce libertà né democrazia, che vede nello Stato di Israele il volto del proprio aguzzino e che non riconosce altra via d’uscita che non sia la lotta armata. È un popolo di essere umani trattati da bestie che hanno trovato nelle “bestie” di Hamas l’unica speranza.

È molto comodo per noi accusare il popolo palestinese di complicità con i terroristi, è molto comodo spiegare loro come avrebbero dovuto dissociarsi da quegli assassini e come il loro risentimento debba avere dei limiti. È molto comodo per noi essere ipocriti e chiedere agli altri di fare gli agnelli quando noi per molto meno di quello che hanno subito i palestinesi siamo pronti a diventare lupi famelici.

Hamas va combattuta, ma prima serve capire che è soltanto il sintomo di una malattia che ha radici chiare: la violenza dello Stato di Israele occupante e l’indifferenza del resto del mondo “buono”, voltatosi dall’altra parte mentre i palestinesi venivano espropriati della loro terra e della loro libertà.

Se l’obiettivo del mondo libero fosse davvero quello di fermare le fauci della morte, Israele smetterebbe di occupare territori che non gli appartengono e soprattutto smetterebbe di rispondere sempre con il solito irrefrenabile spirito di vendetta, aggiungendo reazione su reazione, e i suoi alleati smetterebbero di spingerlo e appoggiarlo. Per debellare il terrorismo serve inaridire le sue fonti vitali, le sue ragioni di esistenza. Invece si continua ad alimentarne il fuoco: a violenza risponde sempre violenza, a morte risponde morte, ai missili rispondono gli assedi, ai crimini rispondono altri crimini. Uno sterminio dopo l’altro.

Servirebbero teste razionali capaci di resistere allo spirito di vendetta che sta portando il mondo verso l’ennesima catastrofe. Invece già sappiamo che continueremo a contare le vittime di una guerra di cui nessuno vuole davvero la soluzione.

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