Parte su basi tutt’altro che solide la “nuova Irpef“, primo tassello attuativo della delega fiscale del governo Meloni. L’accorpamento delle prime due aliquote illustrato dalla premier dopo il consiglio dei ministri di lunedì, infatti, è finanziato solo per un anno. Una riforma fiscale a tempo, insomma: l’esatto contrario rispetto all’obiettivo di “dare certezze ai contribuenti” sempre predicato dal viceministro dell’Economia con delega al fisco Maurizio Leo. Venendo al merito, la seconda aliquota del 25% ora applicata ai redditi tra 15.001 e 28mila euro sarà accorpata alla prima, al 23%, riducendo il carico fiscale di 1,6 euro al mese su 12 mesi per chi ne guadagna 16mila lordi, poco più di 8 euro per chi arriva a 20mila, 18 per chi ne prende 26mila. Il vantaggio più alto, 21 euro e spiccioli pari a 260 euro l’anno, andrà a chi prende 28mila euro e oltre. Benefici magrissimi, che non bastano nemmeno per azzerare il maggior carico fiscale prodotto dal taglio dei contributi (a sua volta prorogato solo per il 2024). Pochi spiccioli andranno poi a chi non arriva a 15mila euro di reddito, grazie all’aumento da 1.880 a 1.955 euro della detrazione per lavoro dipendente.

L’intervento costerebbe in tutto quasi 4,6 miliardi, troppo in tempi di risorse scarsissime. Di qui la decisione di “sterilizzare” l’effetto positivo per – una parte di – coloro che guadagnano oltre 50mila euro lordi. Come? Riducendo di 260 euro, l’equivalente dello sconto fiscale, le detrazioni che potranno chiedere per mutui e altri oneri detraibili al 19%, con l’eccezione delle spese sanitarie, per erogazioni liberali a onlus e partiti nonché per premi di assicurazione contro le calamità. In questo modo le coperture necessarie si riducono a 4,1 miliardi. Secondo la premier Giorgia Meloni l’operazione farà sì che il taglio della seconda aliquota lasci più soldi in busta paga “solo ai redditi medio bassi“. Ma questo non è vero per vari motivi. Per prima cosa, anche chi ha redditi molto alti ma ha da detrarre solo spese sanitarie in realtà godrà appieno gli effetti dell’allargamento del secondo scaglione incassando 260 euro di aumento netto annuo. Una eventualità non remota.

In secondo luogo, la fascia che va dai 28mila a 50mila euro non può essere definita “medio bassa”: in Italia il 79% dei contribuenti dichiara meno di 29mila euro. Oltre i 50mila c’è una fetta minuscola, circa il 6% di chi paga l’Irpef. Dunque il governo ha scelto in realtà di spalmare le poche risorse disponibili su una platea amplissima, invece che concentrarle sulle fasce più deboli. Senza peraltro che questo sia giustificato dalla necessità di evitare che il maggior prelievo fiscale si mangi parte della decontribuzione, come è avvenuto quest’anno: il taglio del cuneo infatti si applica solo sui redditi fino a 35mila euro.

Il risultato complessivo? Stando al comunicato diffuso dal Mef dopo il consiglio dei ministri, “la contemporanea applicazione della riduzione del cuneo contributivo e della nuova aliquota Irpef avrà l’effetto di rafforzare le buste paga dei lavoratori dipendenti fino 1.298 euro annui (per 27.500 euro lordi annui)”. Per redditi più bassi il guadagno netto sarà decisamente più contenuto: a quota 16mila euro lordi meno di 450 euro annui.

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