Le vittime civili israeliane, brutalmente uccise o rapite, condannano l’incursione di Hamas del 7 ottobre come atto terroristico e del resto la matrice fondamentalista del partito che dal 2006 governa Gaza ha da sempre l’obiettivo dichiarato della cancellazione dello Stato di Israele. Nondimeno la controffensiva israeliana è partita all’insegna di quelli che le organizzazioni internazionali hanno subito denunciato come crimini di guerra. La Striscia è stata assediata, tagliata l’energia elettrica lasciando i malati in balia di ospedali spenti, tolta l’acqua potabile, condannando immediatamente la popolazione al rischio concreto di disidratazione e di epidemie. Manca il cibo, il latte in polvere per i neonati, il carburante, i medicinali. Una vendetta di Stato che all’equazione di Hamas, dove ogni ebreo è un nemico da eliminare, ne oppone una speculare che fa di ogni palestinese un potenziale terrorista da abbattere. Lo pensano uomini ai vertici di Israele che, in vista dell’attacco di terra, di ulteriori massacri di civili e dell’annunciata occupazione di terre, lo dichiarano.

Giovedì scorso, di fronte alle domande della stampa, il presidente israeliano Isaac Herzog si è espresso così: “Sono deluso dalla prima cosa che mi chiedi: non hai visto (il massacro nel sud di Israele)? Ora cominciamo con la retorica sui crimini di guerra? Oh veramente?”. E così il giorno prima: “Non è vera la retorica secondo cui i civili non sono consapevoli, e coinvolti. Avrebbero potuto ribellarsi, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio che ha preso il controllo di Gaza”. In Israele sono gli stessi giornalisti a denunciare la difficoltà a porre domande sulla Striscia e in particolare sulla situazione umanitaria a Gaza. “Aiuti umanitari a Gaza? Nessun interruttore elettrico sarà acceso, nessun idrante sarà aperto e nessun camion di carburante entrerà finché gli ostaggi israeliani non torneranno a casa. Umanitario per umanitario. E nessuno ci predicherà la moralità”, aveva garantito il ministro israeliano dell’Energia Israel Katz. Nulla importa se il diritto internazionale umanitario ha carattere assoluto e universale e non può essere sospeso in nessun caso: la ragion di Stato si fa legge del taglione.

Gli obiettivi di Israele sono le posizioni di Hamas e della Jihad Islamica Palestinese nella Striscia, che le Israeli Defence Forces , l’esercito di Tel Aviv, continuano a colpire. Ma le bombe, a migliaia in pochi giorni, colpiscono anche scuole, ospedali e perfino le persone in fuga, contro il volere di Hamas e in ossequio alla minaccia israeliana. Donne e bambini sono morti mentre percorrevano uno dei cosiddetti corridoi sicuri. In una settimana sono così 2.300 i palestinesi uccisi, uno ogni dieci minuti. Oltre 700 sono bambini e altri 2.400 sono rimasti feriti secondo i dati dell’Unicef in Palestina. Inutili ad ora gli appelli alla protezione della popolazione civile, un obbligo la cui violazione è un crimine di guerra che comporta la responsabilità penale internazionale. Come giustificare un simile massacro? Un giornalista ha chiesto all’ex primo ministro Naftali Bennet “dei bambini palestinesi nelle incubatrici che saranno spente perché Israele ha tagliato l’elettricità a Gaza”. La risposta: “Vergognati, cos’hai che non va? Davvero mi stai chiedendo dei civili palestinesi?”.

“Se Hamas è capace di tali atrocità e i palestinesi di Gaza sono considerati complici, è più facile accettare la punizione collettiva, il numero dei morti, i bambini rimasti intrappolati sotto le macerie”, ragiona Francesca Mannocchi su La Stampa, che definisce “disumanizzante” il linguaggio utilizzato dalla leadership israeliana. Già nel 2013 Ayelet Shaked, poi diventata ministro della Giustizia, “scrisse pubblicamente che tutti i palestinesi erano “il nemico”, compresi “gli anziani, le donne, tutte le città, tutti i villaggi, le proprietà e le infrastrutture”, auspicando che venissero uccise anche le donne che resistevano all’occupazione così che non potessero mettere al mondo “altri piccoli serpenti””. Ancora: “Devono morire e le loro case dovrebbero essere demolite in modo che non possano più supportare i terroristi”. Ci sono poi le parole del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, esponente dell’estrema destra israeliana che ha addirittura chiesto all’esercito “di non prendere in considerazione la questione dei prigionieri”, anteponendo a tutto la vendetta di Israele.

Così se in queste ore Hamas vuole i palestinesi votati al martirio perché il massacro di Israele rimanga nella storia del conflitto, Israele si limita a considerarli responsabili delle proprie scelte, autori del proprio destino. Per quanto Abu Mazen, presidente di un’Autorità Nazionale Palestinese che a Gaza non conta, sostenga che le azioni di Hamas non rappresentino il popolo Palestinese, è vero che nella Striscia la maggioranza ha votato ed eletto Hamas. Significa che sono tutti pronti a diventare mariti della Jihad? No, se come riferisce l’esercito di Israele sono 600 mila quelli in fuga verso Sud. Ed è vero che nella Striscia il 75% della popolazione ha meno di 25 anni e il 40% è composto da ragazzi e bambini sotto i 14. Nel breve corso delle loro esistenze hanno contato 6.407 palestinesi uccisi, mentre dall’arrivo dell’ultimo governo di Benjamin Netanyahu, nel 2022, le unità abitative destinate all’insediamento dei coloni israeliani in Cisgiordania sono quasi raddoppiate. E’ vero che il 64% della popolazione di Gaza – 2,1 milioni di abitanti in appena 365 chilometri quadrati – è vittima di insicurezza alimentare e che l’80% dei palestinesi della Striscia sopravvive grazie ad aiuti umanitari. E’ vero infine che 1,4 milioni sono profughi che vivono o nascono in campi profughi perché privati delle loro terre. Questa è la popolazione che avrebbe dovuto “ribellarsi al regime malvagio” e che si è drammaticamente affidata a chi ha messo in pratica l’irricevibile vendetta jihadista. Basta a rendersi responsabili di una catastrofe umanitaria? A questa domanda sono legate le vite dei palestinesi, ma anche il destino di Israele.

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