Alberto Di Rubba, il nuovo tesoriere della Lega di Matteo Salvini è “attinto da plurime accuse, che sono indicative di una sistematica quanto spregiudicata condotta, certamente causa di diffuso allarme sociale proprio per le qualità dei suoi autori e per la fiducia di cui questi godono da parte di istituzioni politiche ed amministrative, peraltro, nonostante ciò, non risulta aver mai espresso resipiscenza”. Utilizzando “l’ente pubblico come cosa propria”. Questi i passaggi decisivi con cui il giudice Natalia Imarisio motiva la condanna al commercialista leghista per peculato e false fatture.
Due anni e sei mesi, questo il giudizio incassato alcune settimane fa. Che si aggiunge ai 5 anni a cui lo stesso Di Rubba è stato condannato sempre in primo grado, sempre con giudizio abbreviato e sempre per peculato (circa 800mila euro) per il filone principale che riguarda l’acquisto di un capannone a Cormano da destinare a nuova sede della fondazione regionale Lombardia film commission. In questo secondo caso, Di Rubba, stando all’accusa, confermata in primo grado, quando era presidente di Lfc, si sarebbe appropriato, tra il 2015 e il 2018, di poco più di 38mila euro bonificati “da Lfc sul conto corrente di Ra.ma.tex spa”, società proprietaria di immobili. Soldi che erano “pari al risparmio ottenuto” dalla società Areapergolesi “in virtù della riduzione del proprio canone di locazione” su quegli immobili e che era stato, in pratica, “accollato”, secondo i pm, alla fondazione Lfc, ente pubblico partecipato dalla Regione Lombardia.
La condanna principale per Lfc, Di Rubba l’ha condivisa con Andrea Manzoni, altro ex commercialista della Lega e molto vicino all’ex tesoriere Giulio Centemero, che in questo secondo filone, scegliendo il rito ordinario, è stato rinviato a giudizio per bancarotta rispetto alla società New Quien. Manzoni è imputato per aver causato “il dissesto della società” con “operazioni dolose, omettendo sistematicamente di soddisfare la pretesa tributaria-contributiva e camuffando la perdita del capitale sociale”. Un duo, quello dei due ex commercialisti della Lega, che il giudice definisce “il polo affaristico Di Rubba-Manzoni”. Infine, sempre in relazione al peculato, il giudice scrive: “Alberto Di Rubba, in ragione della sua funzione, aveva la disponibilità giuridica del denaro della Fondazione LFC, denaro destinato al soddisfacimento di finalità di interesse pubblico; sicché, ogniqualvolta ne disponeva il trasferimento, questo era vincolato, o meglio avrebbe dovuto essere vincolato, esclusivamente alla realizzazione di tali fini”. Cosa che, secondo due sentenze di primo grado, il tesoriere della Lega non ha fatto.
Secondo l’avvocato Piermaria Corso, difensore di Alberto Di Rubba, “la sentenza rappresenta un non raro esempio di perfetta sintonia del giudicante con la tesi della pubblica accusa. Che la condanna fosse l’esito mediaticamente più interessante va considerato un mero accidente storico. L’ordinamento giuridico mette a disposizione un sistema di impugnazioni per rimuovere una sentenza ritenuta ingiusta: la Corte di appello sarà certamente chiamata a pronunciarsi sulla vicenda. Resta sullo sfondo la convinzione di un processo che si poteva, e doveva, evitare e che implicherà nel tempo un grave costo individuale e collettivo, ma verosimilmente questo non è ritenuto un problema“.