Nell’ambito di un orientamento del governo Meloni che continua a prevedere una forte decurtazione degli stanziamenti per la sanità pubblica nei prossimi anni, spunta un “contentino” per il 2023. Tre miliardi di euro che andranno a rimpinguare casse ormai esauste. La spesa sanitaria che nel 2023 si attesterà a 134 miliardi di euro, prima dell’annuncio odierno avrebbe dovuto scendere nel 2024 fino a 133 miliardi. Tenendo conto degli aumenti dei prezzi legati all’inflazione, un taglio molto significativo che è meglio espresso dal valore come quota del Prodotto interno lordo: da 6,6 a 6,2%. Con i 3 miliardi stanziati oggi la riduzione si ferma al 6,3% del Pil o poco più. Al momento le risorse per il 2025 e il 2026 sono per ora confermate e in calo: 6,2% del Pil e 6,1% l’anno dopo (anche se potrebbero arrivare risorse aggiuntive).

“Sulla sanità ci sono 3 miliardi in più rispetto a quanto previsto”, ha detto oggi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. “La priorità dell’abbattimento delle liste d’attesa con due misure: il rinnovo dei contratti e la detassazione degli straordinari e dei premi di risultato” . Sulla sanità “vedo molte polemiche sul fatto che avremmo tagliato”, ha poi rimarcato, con un ragionamento discutibile viste le cifre, ma quest’anno ci saranno fondi per “quasi 136 miliardi di euro: è il più alto investimento mai previsto per la sanità. Si può fare il giochetto che scende sul Pil ma “le bugie che ho sentito non rispondono alla realtà delle cose”, afferma Meloni.

“Ben 14 miliardi di deficit e nella legge di bilancio non c’è traccia delle risorse necessarie per mettere in sicurezza il sistema sanitario nazionale. La spesa sanitaria rispetto al PIL è tra le più basse d’Europa e con l’esecutivo Meloni si passerà dal 7% investito con il Ministro Speranza al 6,3% del prossimo anno”, scrive in una nota Irene Manzi, responsabile nazionale Scuola del Pd. “Sulla sanità c’è un gioco di prestigio, afferma il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, perché non c’è alcuna risorsa aggiuntiva allo stretto necessario del rinnovo di contratto del personale e, soprattutto, sono insultanti le parole di Meloni che parla della più alta somma mai investita. La somma più alta mai investita è quella degli italiani, costretti a spendere 40 miliardi di euro nella sanità privata pur di curarsi”.

Nella manovra “ci sono 3 miliardi per la sanità, che non sono sufficienti: la sanità va salvaguardata perché riguarda la vita delle persone”, afferma il segretario confederale della Uil Domenico Proietti al termine dell’incontro sulla manovra a palazzo Chigi. “Non c’è niente sulla previdenza, dicono che rinnoveranno quota 103, ma non viene fatta menzione della rivalutazione piena delle pensioni e temiamo ci possa essere ancora la tentazione del ricorso alle pensioni come bancomat. Anche su Opzione donna non c’è nulla”, ha aggiunto. “Avevo messo come traguardo quello del 7,5% del Pil, il che avrebbe significato sostanzialmente circa 12 miliardi in più”, ma “avere tre miliardi in più è comunque una boccata di ossigeno” commenta Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana.

La manovra stanzia anche 7 miliardi di euro per i rinnovi dei contratti dell’intera pubblica amministrazione. Nel 2023 lo Stato spenderà in stipendi per i dipendenti pubblici 188 miliardi di euro, il 9,2% del Pil. Non è molto se paragonato ad altri paesi europei come Francia o Germania. Nel 2024 la spese avrebbe dovuto ridursi a 186 miliardi, l’8,8% del Pil. Con il nuovo stanziamento risale al 9,1%, più o meno invariata dunque. Dei 7 complessivi, due miliardi sono destinati al personale sanitario. Tra le misure previste dalla manovra ci sono “l’introduzione di indennità per medici e altro personale sanitario impegnati nella riduzione dei tempi delle liste di attesa”. Per questo scopo ci si appoggerà comunque anche alla sanità privata.

La strategia del governo per abbattere le liste d’attesa “è del tutto inadeguata. Basta vedere cosa è successo negli anni passati con simili strategie, che si sono rivelate inefficaci”: così ha commentato Guido Quici, presidente del sindacato dei medici Federazione Cimo-Fesmed, a cui aderiscono le sigle Anpo-Ascoti, Cimo, Cimop e Fesmed. Lo scrive lo stesso sindacato in una nota. E’ una manovra, osserva Quici, nella quale “per la sanità forse ci sono più soldi, ma non ci sono idee innovative capaci di risolvere un problema destinato a protrarsi nel tempo. Senza azioni coraggiose, che prevedano una riforma complessiva del Servizio sanitario nazionale e una revisione del rapporto tra territorio e ospedali, non vedremo alcun risultato tangibile”. Per Quici è “inaccettabile continuare a chiedere ulteriori sforzi e impegno al personale sanitario dipendente, già stremato da condizioni di lavoro insostenibili, per garantire più prestazioni e quindi accorciare i tempi di attesa. Pensare che il premio di una defiscalizzazione delle prestazioni aggiuntive possa indurre i medici a lavorare ancora di più e a sacrificare in misura ancora maggiore la propria vita privata è pura illusione”.

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