Si fa alla svelta a dire Caporetto: quella che noi spesso identifichiamo come un unico – catastrofico – scontro tra le truppe italiane e quelle austro-germaniche fu, infatti, la dodicesima e ultima battaglia combattuta lungo la frontiera orientale italo-austriaca, nei pressi, appunto, del fiume Isonzo. Il fatto che a due anni e mezzo dall’inizio della guerra stessimo ancora combattendo in un’area profonda meno di quindici chilometri voleva solo dire che nessuna battaglia era stata decisiva e i contendenti continuavano a sbranarsi disperatamente per uscire dallo stallo; basterà dire che nella decima e undicesima battaglia, combattute nel corso del 1917 l’esercito italiano aveva perso 320mila uomini, tra morti, feriti e prigionieri: sei volte e mezzo più che nella disfatta di Caporetto e pari al tre per cento dei maschi adulti del paese. Allo stesso modo, nella guerra russo-ucraina in corso dal 2014 – quando si chiamava guerra del Donbass e coinvolgeva le forze russe senza bandiera – ci sono alcune battaglie che durano da quasi un decennio – o poco meno – e che guadagnano l’onore delle cronache solo in pochi momenti topici. Questo è il caso adesso della battaglia di Avdiivka, come fino a poche settimane fa è stato per quella di Bakhmut. Le storie recenti di questi scontri – così come di quelli di Severodonesk e Vuhledar – ci raccontano come i russi si sono adattati a una guerra in cui il Cremlino – così come gli analisti filorussi – nel 2014 come nel 2022 si aspettava di farla breve ma che è ormai in procinto di diventare la più lunga della storia russa.

Battaglie così lunghe rivelano come le due parti sono cambiate nel tempo. Le operazioni russe nella battaglia di Avdiivka questo mese hanno in gran parte ricalcato quanto visto a Vuhledar tra gennaio e febbraio: potenti attacchi di artiglieria – anche con bombe al fosforo e droni iraniani – e uso di aerei poco in profondità lungo tutto il fronte, con a seguire le colonne corazzate lanciate all’offensiva attraverso la gray zone, cioè la terra di nessuno che separa le due parti. Questa formula, oggi come allora, ha mostrato tutti i suoi lati negativi se applicata alla guerra in corso: dato che il grande problema dei russi – fin dal 2022 – è la debolezza del fuoco di controbatteria, cioè il non arrivare mai a annichilire l’artiglieria nemica nell’area di combattimento, le colonne corazzate russe hanno dovuto fare i conti, una volta sfondato il fronte e costretto gli ucraini a ritirarsi di alcune decine o centinaia di metri, con la forte reazione delle bocche di fuoco di Kiev e, da questo autunno, con tappeti di mine, una tattica di difesa che gli uomini del generale Zaluzhny, capo di stato maggiore ucraino, hanno imparato proprio dai russi. Insomma, la situazione a Est per i russi è la stessa che gli ucraini hanno imparato a conoscere a Sud a giugno: colpire da lontano, avanzare nella zona grigia e poi impantanarsi tra le mine e il fuoco nemico. Con la differenza che ad Avdiivka come a Severodonetsk, a Bakhmut e a Vuhledar, il generale Gerasimov non lesina nello spendere i suoi uomini: come tutti i comandanti gli stati maggiori di Mosca pensano da tre secoli, la Russia è popolosa e può permettersi anche perdite colossali. Proprio quello che Kiev non può e non deve fare, avendo una popolazione inferiore di oltre tre quarti.

Non c’è stata una rielaborazione degli obiettivi: come a Vuhledar e Severodonetsk, Mosca mira a una vasta opera di conquista territoriale, mentre a Bakhmut era rivolta alla conquista della città stessa. Gli attacchi russi in questo mese di ottobre mirati a eliminare un saliente largo 12-15 km tenuto dalle truppe ucraine intorno ad Avdiivka per poi conquistare l’intero oblast di Donetsk entro la fine dell’anno. Ad eccezione dei cumuli di scorie delle miniere di carbone, il terreno è pianeggiante e aperto: attualmente, Kiev lo difende con una forza mista composta dall’esercito regolare, dalla polizia, dalle guardie di frontiera e dalle unità di difesa territoriale. Ecco, allora, che i ripetuti tentativi da parte delle forze russe di sfondare le linee ucraine avanzando in formazioni di 20-40 veicoli corazzati guidati da carri armati sono stati fermati – con avanzate o ritirate di dimensioni infinitesimali – da attacchi concentrati di artiglieria ucraina. Con l’uscita di scena di Wagner sono venuti meno gli enormi carnai di ex galeotti mandati avanti imbottiti di sostanze stupefacenti e usati per scovare le postazioni difensive o far sprecare tonnellate di munizioni facendoli crivellare di colpi: non a caso, Prigozhin aveva costruito, spesso ex novo, decine di cimiteri in Russia per ospitare tra quaranta e centomila corpi distrutti dalle artiglierie occidentali in mano agli ucraini. Ovviamente, quello che poteva permettersi un reclutatore di mercenari non può essere fatto da uno stato maggiore, pena il crollo del morale delle truppe: così, a differenza che a Bakhmut e tenendo un atteggiamento più prudente che a Vuhledar, il Cremlino ha derubricato la battaglia di Avdiivka da un’offensiva per prendere l’intero oblast di Donetsk a una fase di “difesa attiva”, nelle parole dello stesso Putin. Insomma – e questa è una grossa novità -, nemmeno Mosca può perdere troppo spesso mille uomini in un solo giorno di combattimenti; un lusso che Prigozhin poteva concedersi sempre e Gerasimov solo per poche settimane durante la fallita “grande offensiva” di gennaio a Vuhledar e dintorni, ma non certo adesso. Non che i generali russi abbiano ora a cuore il destino dei soldati: semplicemente, certe operazioni costose in termini di vite umane che prima duravano per settimane ora si esauriscono in pochi giorni non permettere a Kiev di andare al contrattacco contro un nemico esausto. Così, i generali russi spostano le truppe tra il fianco a Nord e quello a Sud della città per non rischiare un infinito massacro su un singolo obiettivo: non bisogna dimenticare che la stessa Avdiivka altro non è che parte dell’area metropolitana di Donetsk: insomma, si combatte a due passi dal confine russo e nel cuore del Donbass con una logistica meno difficile del solito.

A fare maggiormente la differenza in questa fase, oltre a un certo risparmio nelle risorse umane, è l’intervento del comando militare russo nella discussione delle operazioni offensive russe attorno ad Avdiivka nei social media. Per prevenire e non dover curare lo shock per i continui problemi logistici e di controbatteria, per non parlare del morale delle truppe, da alcune settimane Mosca cerca di controllare qualsiasi narrativa che emerga nello spazio informativo russo attorno alle operazioni. Così, per fare un esempio, il blogger pro-Cremlino Aleksandr Khodakovsky , un ufficiale che ha disertato l’esercito ucraino nel 2014, l’11 ottobre ha scritto che la collina di scorie di carbone a Avdiivka era saldamente nelle mani dei russi: “Nelle ultime 24 ore siamo riusciti a peggiorare la situazione per l’Ucraina… e abbiamo raggiunto le linee da cui possiamo controllare le comunicazioni”. Ha taciuto il fatto che detta altura era occupata da un solo soldato. Anzi, dal suo cadavere, tracciato da esperti di Osint. Così ogni operazione diventa una conquista: Sieverne e Stepove, attorno ad Avdiivka e ancora mai raggiunte, sono state annunciate come conquistate più volte e sempre da fonti diverse, per tenere alto il morale e evitare corti circuiti nello storytelling. Il Cremlino, ovviamente, non cerca di trasformare i blogger e i reporter in semplici ripetitori dei comunicati ufficiali del ministero della difesa, ma vuol evitare di perdere il confronto, strategico quanto quello in guerra con l’Ucraina, con gli ultranazionalisti russi, i cui blog e video sono i più seguiti dai militari e dagli apparati. Insomma, vuol evitare un nuovo caso Prigozhin.

david.rossi.italy@proton.me

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