Gli Stati Ue stanno cercando di depotenziare la prima direttiva comunitaria che dovrebbe tutelare la partecipazione pubblica di giornalisti, attivisti e difensori dei diritti umani, contro le azioni e querele temerarie (le cosiddette Slapp, Strategic Lawsuits Against Public Participation). Così, mentre nel corso di negoziati trilaterali si sta cercando un compromesso tra il testo e i documenti più avanzati proposti dalla commissione Ue e dal Parlamento, a Roma l’appello per una legge italiana e affinché la direttiva non venga stravolta è stato rilanciato dagli attori della società civile che sono parte della coalizione anti-Slapp (CASE). Gli stessi che si sono già appellati ai ministri della Giustizia dei singoli Stati. Invano, per ora, in Italia e non solo. “Non abbiamo ancora alcuna informazione su quale sia la posizione del nostro governo, speriamo di riuscire ad aprire un canale di interlocuzione con il Guardasigilli Carlo Nordio. Finché c’è spazio di manovra, vogliamo influenzare questo processo”, spiega Sielke Beata Kelner, ricercatrice dell’Osservatorio Balcani Caucaso e membro di CASE. Preoccupata anche perché nel testo proposto dagli Stati membri è “sparita la possibilità di un risarcimento danni per chi subisce una querela temeraria. Avrebbe un forte potere deterrente“. Ma non solo.
“Le Slapp costituiscono una forma di molestia legale che colpisce non solo la libertà di stampa, ma la libertà di espressione della società nel suo insieme”, continua. Mentre Vittorio di Trapani, presidente della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi), aggiunge: “Sono uno schiaffo in faccia non ai giornalisti, ma al diritto del cittadino ad essere informato“. Al primo evento di CASE Italia, organizzato a Roma, sono intervenuti giornalisti (
Nello Trocchia, Sara Manisera, Cecilia Anesi, Antonella Napoli), ma anche whistleblower come
Francesco Zambon, ex funzionario dell’Oms a cui è arrivata una richiesta di risarcimento danni da 2,5 milioni di euro dopo le sue denunce sulla gestione della pandemia. E attivisti ambientalisti, come
Antonio Tricarico di Recommon, ong
citata in giudizio per le azioni di campagna contro Eni sul cambiamento climatico.
“Dobbiamo domandarci quale sia lo stato di salute dello stato di diritto nel nostro Paese, dove una premier (Giorgia Meloni, ndr) ricorre alle querele temerarie per silenziare le critiche. Questo ci accosta al caso di studio più grave tra i paesi Ue, quello maltese, dove fu Joseph Muscat a querelare per diffamazione Daphne Caruana Galizia“, aggiunge Kelner. E ricorda come, quando la giornalista maltese venne fatta saltare in aria, avesse 46 cause aperte, azioni temerarie.
Un caso, quello della giornalista uccisa, che “ha spinto le mobilitazioni della società civile, prima maltese e poi comunitaria, al fine di chiedere risposte alle istituzioni”, ricorda pure Linda Ravo, attivista di Liberties. Per questo ora le associazioni cercano di fare rete per impedire che la direttiva venga sterilizzata e resa inefficace. Anche perché poi la speranza è che si scateni un effetto domino nei singoli Paesi dal punto di vista normativo. “Sono anni che chiediamo una legge, ma nessun governo, di alcun colore politico, ha portato avanti alcun provvedimento, al contrario urgente per tutelare i cittadini”, spiega di Trapani. Anche perché, aggiunge – al di là dell’assenza di dati sistematici raccolti dagli Stati, ndr – “vediamo come le querele bavaglio siano in aumento. E ci preoccupa l’azione dei governi. Ricordiamo come in Italia diverse azioni temerarie sono lanciate da membri dell’esecutivo e della maggioranza parlamentare. E pure il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha minacciato una querela preventiva nei confronti di Report“. E Trapani conclude: “Oggi querelare un giornalista non ha un costo. Anche dovessero passare gli attuali disegni di legge in discussione in Parlamento la sanzione massima per chi dovesse querelare e quella querela si rivelasse infondata sarebbe di 10mila euro. Ma volete che la criminalità organizzata non si giochi una fiche per tentare di silenziare qualcuno?”.