di Michele Versace
Sono nato nel 1962 e ho avuto il primo contratto di lavoro a vent’anni. Credevo che sarei andato in pensione dopo i canonici 35 anni di lavoro, ma nel ’95 arrivò la prima doccia fredda della riforma Dini, che spostava in avanti la mia età pensionabile di tre anni. Ma a detta degli esperti, quella riforma aveva riportato in pareggio il bilancio dell’Inps, seppur gravata dal finanziamento delle pensioni di invalidità e altre voci del welfare che con il lavoro non hanno nulla da spartire.
Ma non era finita, perché prima con il governo Berlusconi, e poi con quello Renzi, venivano accorpati all’Inps due fondi pensione in profondo rosso (da far impallidire quello di Dario Argento): il fondo pensioni dei dirigenti e quello dei dipendenti pubblici. Il risultato fu la famigerata legge Fornero, che obbligava (e obbliga) chi lavora davvero, a restare in attività fin o a 67 anni, ossia fino alla soglia del ricovero in rsa, o nei casi peggiori, al trasferimento alla dimora definitiva (perché checché se ne dica, l’aspettativa di vita nel nostro paese ha fatto il giro di boa una ventina di anni fa, e ora è in controtendenza).
Poi arriva il fenomeno padano denominato Salvini, che si inventa “quota 100”, ma siamo nel 2019, ed io mi ritrovo con 57 anni di età e 37 anni di contributi, e perciò sono fuori dai giochi, e la legge dura solo per un anno. Poi arriva la quota 102 ma sono ancora fuori per un anno di età, e poi lo scorso anno, quota 103, e anche questa volta sono fuori per un anno. Oggi viene varata quella che di fatto è quota 104, per il 2024, che mi tiene fuori ancora una volta, perché a salire sarà come sempre l’età anagrafica.
Riconfermare quota 102 sarebbe costato al bilancio dello Stato, a detta degli economisti, circa 4 miliardi all’anno, ossia quello che abbiamo da poco speso per l’acquisto di nuovi carri armati, quello che spenderemo ogni anno per portare il nostro contributo alla Nato al 2% del Pil. Ma noi dovremo lavorare finché il fisico reggerà, rischiando di cadere dai ponteggi, essere schiacciati dai macchinari o dai veicoli aziendali, e se sopravviveremo, si passerà dall’officina all’Rsa “senza passare dal via”.