Forte rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato a livello globale. I Treasury statunitensi decennali approcciano il 5% (4,92%), il valore più alto dal 2007, con gli investitori convinti che il costo del denaro statunitense (e, a ricaduta, europeo) rimarrà alto per un lungo periodo di tempo. In Europa i bund tedeschi hanno visto i rendimenti salire di 4 punti base e raggiungere il 2,92%. I Btp italiani, come spesso accade, risentono molto di questi movimenti generalizzati, con rendimenti che si avvicinano al 5% (4.98%) in rialzo di 10 punti base. Meno reattivi gli equivalenti francesi che comunque salgono di 5 punti al 3,55% e gli spagnoli aliti a loro volta di 5 punti a 4,05%. Forte reazione invece per i decennali inglesi con interessi su di 15 punti al 4,65%. Per effetto di questi movimenti lo spread (differenza tra il rendimento di un titolo tedesco e uno italiano) si allarga a 206 punti.
L’aumento dei rendimenti (che sono fissi in valore assoluti ma espressi in percentuale del valore del titolo) sono in realtà effetto di un calo del valore dei bond, determinato da vendite che superano gli acquisti fino a quando un equilibrio non si ristabilisce su prezzi più bassi. Se gli investitori ritengono che i tassi rimarranno alti a lungo significa che le prossime emissioni avverranno con rendimenti più alti rispetto a titoli analoghi già in circolazione che pertanto si allineano al nuovo scenario. In prospettiva questo scenario significa che anche gli stati devono spendere di più per gli interessi che pagano sui loro titoli. L’Italia, che ha sul mercato Bot e Btp per oltre 2mila miliardi di euro, deve ogni anno procedere a nuove emissioni che compensino quelle che arrivano a scadenza e devono essere rimborsate, per circa 300 miliardi di euro. Venerdì prossimo 20 ottobre l’agenzia di rating statunitense Standard and Poor’s si pronuncerà sull’affidabilità dell’Italia come debitore, aggiornerà il suo giudizio di rating, attualmente BBB con outlook (ossia la valutazione sulle prospettive) stabile.