di Riccardo Proietti
Con un record di affluenza attestato al 74,4% spira un forte vento di rinnovamento e trasformazione per la politica polacca. La vittoria più amara arride al partito di destra PIS (Giustizia e Liberta’), il principale favorito alla vigilia: col 35,4% si conferma primo partito ma non può nulla contro la somma totale dei 3 principali partiti di opposizione e dopo 8 anni non è più maggioranza.
Nel 2019 il partito di Kaczyński aveva toccato il 43,6%; nonostante i milioni spesi nella campagna elettorale a trionfare è infine la coalizione capeggiata da Donald Tusk.
I tre principali partiti infatti ottengono la maggioranza assoluta del 55,7% (30,7% per KO – Koalicja Obywatelska, 8,6% a Nowa Lewica e 14,4% di Trzecia Droga) assicurandosi così 248 seggi su 460; 194 seggi per il PIS mentre Konfederacja, formazione di estrema destra, se ne assicura 18.
Nota di merito per Donald Tusk: il sessantaseienne leader è riuscito a coalizzare le diverse anime dell’opposizione; meglio tutti uniti per demolire il PIS piuttosto che coltivare il proprio orticello a discapito della posta in palio. Anche la campagna condotta da Koalicja Obywatelska è sembrata di ben altro spessore rispetto alle ultime due.
Innanzitutto, al posto di demonizzare l’operato del governo, l’opposizione ha presentato se stessa come alternativa veritiera e positiva. Centrali di sicuro la richiesta di modifica della legge sull’aborto e la lotta sulle unioni civili ma non solo; nelle sue 100 idee per una nuova Polonia compaiono anche l’innalzamento del 20% degli stipendi per gli statali e l’abolizione del Fondo per la Chiesa, associazione che elargisce sussidi alle organizzazioni religiose.
Ma quali sono le cause di una partecipazione così alta? Innanzitutto, la fascia d’età che si è recata alle urne; quasi il 69% dei giovani polacchi tra i 18 e i 29 anni (nel 2019 erano appena il 46%( ha senz’altro privilegiato i partiti di opposizione, con la battaglia sulla modifica della legge sull’aborto sostenuta soprattutto dall’elettorato femminile. Inoltre, l’ostinazione anti-Ue del PIS ha de facto polarizzato e indirizzato il voto in tutte quelle persone nate dopo il 1990; le nuove generazioni, europeiste e consapevoli dei vantaggi derivanti dall’ingresso in ambito Ue, non potevano rivolgersi a chi ha sempre rappresentato l’Unione Europea come una minaccia.
Rispettata come da tradizione la classica ambivalenza città/campagna, con i voti dei grandi centri urbani appannaggio della left coalition; a Varsavia il 42% a KO contro il 22% del Pis, percentuali similari a Lodz (43,02% – 24,90%) mentre più sfumata la differenza a Cracovia (34,25% – 25,07%). In centri rurali come Nowy Sącz prospettiva ribaltata: 42,97% Pis e 27,57% KO, a conferma di come l’ideologia clericale e i bonus elargiti disinvoltamente dal governo con un forte accento sul welfare non hanno comunque evitato la progressiva e inesorabile perdita di voti.
Altre ragioni relative alla sconfitta di giustizia e libertà possono essere trovate nei vari scandali che hanno travolto alti funzionari di partito, colpevoli di aver venduto visti d’ingresso in cambio di tangenti.
Otto anni di tensioni e conflitti sociali, dunque, sfociati in una generale sfiducia nei confronti del governo, con referendum last-minute a peggiorare l’insieme. Progettato con quattro domande tendenziose per mettere in cattiva luce l’opposizione non è riuscito a galvanizzare gli elettori del PiS e non ha raggiunto il quorum del 50% necessario per essere approvato.
Entusiasta risposta anche degli elettori polacchi all’estero: lunghe file nei vari consolati sparsi per il mondo, con tantissimi aventi diritto che hanno ritardato le procedure di voto ben oltre le canoniche 21 di domenica 15 ottobre. A Varsavia si respira aria di cambiamento e di rinnovamento: la nuova Polonia dopo le urne è ritornata a sperare in un futuro migliore.