Non c’è solo la mancanza di acqua potabile, luce e cibo ad affliggere la popolazione sfollata della Striscia di Gaza. Ma c’è anche la paura di non poter più rientrare nella propria casa, lasciata in fretta dopo l’ordine di evacuazione dell’esercito israeliano. Lo racconta in un audio l’operatrice di Oxfam Najlia Shawa, che da alcuni giorni si trova a condividere un’abitazione con altre decine di persone. Con tutte le difficoltà che questo comporta.
Intanto l’organizzazione ha lanciato l’allarme sanitario. “Gaza – scrive Oxfam in una nota – vive in queste ore una crisi sanitaria senza precedenti che rischia di provocare un’epidemia di malattie infettive mortali, come il colera. I cinque impianti di trattamento delle acque reflue di Gaza e la maggior parte delle 65 stazioni di pompaggio non funzionano più. Acque quindi inquinate vengono ora scaricate in mare mentre, in alcune aree, i rifiuti solidi si accumulano nelle strade”. Il prezzo dell’acqua è andato alle stelle, e mediamente una persona riesce ad avere solo 3 litri al giorno. L’Oms ne raccomanda tra i 50 e i 100.
Per questo, è l’appello dell’organizzazione, servono vie sicure per fare entrare aiuti. “A Gaza non c’è elettricità, non c’è cibo e ora non c’è acqua. Terreno fertile per il colera e altre malattie infettive – ha detto Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – La situazione per i civili è durissima e i nostri colleghi dal campo ci raccontano che in alcuni casi ci sono fino a 70 persone stipate in una sola stanza. Gli aiuti umanitari devono poter entrare a Gaza adesso”.
Il racconto di Najlia Shawa fa parte di una serie di testimonianze giornaliere degli operatori e dei manager di Oxfam a Gaza che ilfattoquotidiano.it ha deciso di pubblicare. L’obiettivo è avere giorno per giorno un racconto in prima persona da parte dei civili a Gaza, coloro che in questo momento stanno pagando il prezzo più alto del conflitto
LA CAMPAGNA – A Gaza è catastrofe umanitaria, gli aiuti di Oxfam.