Un dirigente del Dipartimento di Stato americano nell’ufficio che sovrintende ai trasferimenti di armi, Josh Paul, si è dimesso in polemica con la decisione dell’amministrazione Biden di inviare armi a Israele nell’ambito del conflitto esploso a Gaza il 7 ottobre scorso, dopo il sanguinoso attacco di Hamas. Il funzionario ha motivato la sua decisione, in completa rottura con le posizioni assunte dal presidente americano che proprio mercoledì è volato a Tel Aviv per incontrare il premier Benjamin Netanyahu e rinnovargli il pieno appoggio di Washington, dicendo che il “cieco sostegno” sta portando a decisioni politiche “miopi, distruttive, ingiuste e contraddittorie rispetto agli stessi valori che sosteniamo pubblicamente”.

Il dirigente ha spiegato le sue ragioni e la sua posizione nella lettera di dimissioni presentata al Dipartimento di Stato: “La risposta che Israele sta dando, e con essa il sostegno americano sia a quella risposta sia allo status quo dell’occupazione, porterà solo a sofferenze maggiori e più profonde sia per il popolo israeliano che per quello palestinese”, ha spiegato l’uomo che ha ricoperto il ruolo di direttore degli affari pubblici e parlamentari per l’ufficio affari politico-militari del Dipartimento di Stato per oltre 11 anni. E proprio la sua lunga permanenza negli uffici del Dipartimento di Stato gli hanno fatto maturare la convinzione che le politiche militari americane nei contesti più caldi siano state sbagliate. Nessun riferimento preciso, come ad esempio al sostegno militare incondizionato all’Ucraina o, tornando più indietro nel tempo, alla decisione di invadere l’Afghanistan e l’Iraq nei primi anni Duemila. Ma il giudizio è chiaro e senza filtri: “Temo che stiamo ripetendo gli stessi errori commessi negli ultimi decenni e mi rifiuto di farne parte per un periodo più lungo”.

Paul ha poi rilasciato anche un’intervista nella quale argomenta le sue posizioni in modo da far capire che non si tratta di una questione ideologica, ma anche procedurale. Nello specifico, parte ricordando che Israele sta mettendo in atto un blocco su Gaza che impedisce alla popolazione di accedere a beni di prima necessità, come acqua, cibo, elettricità e carburante. Comportamenti che configurano una violazione del diritto internazionale. Per questo, dice, dovrebbe scattare la protezione prevista da una serie di leggi federali di lunga data intese a tenere le armi americane fuori dalle mani di chi viola i diritti umani: “Il problema con tutte queste disposizioni è che spetta al ramo esecutivo stabilire se si sono verificate violazioni dei diritti umani. La mossa di prendere una decisione non spetta a qualche entità accademica apartitica e non c’è alcun incentivo affinché il presidente determini effettivamente qualcosa”. In questo caso, l’amministrazione ha però deciso di ignorare le convenzioni internazionali in nome del sostegno incondizionato a Tel Aviv.

Twitter: @GianniRosini

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