“Quando un ospedale viene bombardato, concediamo il beneficio del dubbio che sia realmente accaduto in base a chi guida l’aereo: è il doppio standard dell’Occidente”. Ziad Majed, scienziato politico, insegna all’Università Americana di Parigi ed è uno degli analisti arabi più noti. “Le uccisioni di civili, l’occupazione e i crimini contro l’umanità devono essere sempre condannati dagli Stati democratici: i doppi standard non devono più esistere”, commenta il professore a proposito dell’attacco all’ospedale Ahli Arabi Baptist a Gaza City.
C’è un doppio standard anche nel dibattito sul conflitto israelo-palestinese?
Quando si partecipa a una trasmissione tv cercando di fornire una prospettiva storica, spesso il conduttore ferma tutto e chiede all’ospite: “Condanna l’operato di Hamas?”. È diventata una domanda imprescindibile, che riduce all’autocensura chiunque voglia fornire il contesto degli eventi. Se l’invitato prende invece le parti israeliane, non gli viene mai chiesto di cominciare prendendo le distanze dall’azione del governo. Questo non aiuta perché deumanizza una parte: le vittime palestinesi, che non hanno spazio. E ci lascia empatici esclusivamente verso le altre. Dovrebbero invece avere tutte lo stesso peso.
Non pensa che ciò dipenda dalla preoccupazione occidentale per il fondamentalismo islamico? L’Isis sembra essere tornato e in molti lo paragonano ad Hamas.
È un parallelo che non regge. L’Isis è un movimento jihadista che non ha nessuna priorità territoriale né un governo con una prospettiva politica delineata nel tempo, né legata a una qualche lotta. La sua idea di jihad non ha un nemico particolare e definito. Nel caso di Hamas, parliamo invece di un movimento politico islamista rinchiuso nel contesto della lotta israelo-palestinese e che non ha mai operato fuori da questo territorio. In più, Hamas è stata fondata da personalità legate al movimento dei Fratelli Musulmani, mentre l’Isis è un derivato del jihadismo salafita che ha una visione di lotta globale.
Eppure sembrerebbe che solo movimenti radicali islamici sostengano i palestinesi. Dove sono i Paesi arabi?
Molte nazioni hanno archiviato, politicamente, la loro simpatia per i palestinesi. Questo a causa di una mancanza di sintonia con Hamas o perché legati a Paesi occidentali e agende ben diverse. Tuttavia, le manifestazioni di questi giorni dimostrano che esiste un sentire comune fra la gente che si rispecchia nel sentimento di ingiustizia dei palestinesi. Un caso a parte è la Siria: il governo di Bashar al-Assad ha manipolato la causa palestinese, usandola come strumento egemonico nella società e come un mezzo per accreditarsi con i movimenti anti-imperialisti e i partiti di sinistra occidentali. Eppure, in nome di questa causa, il governo siriano ha massacrato gli stessi palestinesi durante la guerra civile libanese.
Questo stallo è legato al processo di normalizzazione in atto fra alcuni paesi arabi e Israele?
Quelli che hanno pensato di normalizzare le relazioni senza portare avanti la questione palestinese, come Marocco o Qatar, devono oggi rivedere i loro piani. La stabilità della regione, dei rapporti con Israele, non può prescindere dalla questione della Palestina. Molti governi arabi, come quello dell’Arabia Saudita, hanno visto le piazze riempirsi in solidarietà con Gaza: ignorare questo fatto sarebbe troppo rischioso.
Dall’altra parte c’è l’Iran, che sembra diventato il primo difensore dei palestinesi.
Siamo di fronte a una strumentalizzazione. Teheran vuole avvicinarsi ai cuori degli arabi, dicendo: “Noi iraniani vi supportiamo, non come i vostri governi che vi hanno abbandonati!”. Il risalutato più evidente per il governo degli ayatollah è un margine di manovra politico molto più ampio. Da una parte ha acquisito nuovi alleati locali, come i movimenti jihadisti che muovono guerra a comando contro Israele, garantendogli un coinvolgimento da lontano. Dall’altro, oggi una forza maggiore ai tavoli sul nucleare e sulle sanzioni occidentali. Tutto è comunque il frutto di anni di rapporti fra iraniani e Hamas.
Eppure sembra che la crisi a Gaza sia cominciata il 7 ottobre.
È la cosa più imbarazzante. C’è come un desiderio di nascondere la questione israelo-palestinese, che è lì da settant’anni. Solo nell’ultimo decennio ci sono stati numerosi attacchi contro la striscia di Gaza e migliaia di vittime, la maggior parte civili. In questo senso manca completamente la contestualizzazione degli eventi: per esempio, nessuno ricorda che l’attuale governo israeliano è di estrema destra e che molti membri dell’esecutivo covano l’idea di annettere la West Bank (la Cisgiordania, ndr) e imporre misure ancora più stringenti contro Gaza. L’Occidente deve assolutamente riuscire a riconoscere le vittime da ambo le parti e smetterla di ostracizzare il dibattito. Ne va anche della nostra stabilità.