di Marina De Michele

Noi abbiamo il sogno che a Siracusa, in Sicilia, in Italia, ovunque nel mondo, in questi giorni, in cui infuria una guerra senza esclusione di colpi dall’altra parte del Mediterraneo, nelle scuole, soprattutto in tutte le superiori, dirigenti e docenti si siano interrogati, si interroghino, sulla necessità di dare spazio, anche con una pausa dei programmi curriculari, a una riflessione sull’immane tragedia in atto.

Abbiamo il sogno che si avverta, forte, l’urgenza che la realtà, quella che riempie con il suo carico di dolore e sconcerto le cronache quotidiane, entri nelle aule per essere studiata, analizzata, valutata con serietà, oggettività, competenza e professionalità. Perché non è possibile ‘comprendere’, vivere empaticamente quanto accade se non lo si contestualizza, se non si guarda al quadro di insieme, se non si esplorano anche le direzioni che avrebbero potuto allontanare, evitare esiti così nefasti.

Che si pensi sia indispensabile leggere negli occhi dei nostri ragazzi il riflesso dei fatti, e della loro carica emotiva, proprio per cercare di recuperare quella ‘sensibilità’ all’altro che sembra essere stata annullata da una comunicazione ormai troppo veloce e superficiale, da una confusione tra finzione e realtà che fa perdere le dimensioni, la percezione del reale; il prevalere dell’indifferenza, l’appiattimento dei sentimenti fino al vuoto emotivo sono tra le conseguenze dei nostri infausti tempi in cui la violenza, l’intolleranza, il narcisismo si fanno strada spazzando via rispetto tolleranza altruismo.

Che si ritenga giusto far sì che i nostri giovani si immedesimino a pieno nei loro coetanei che hanno visto trasformare se stessi, colti in un momento di svago, di spensieratezza, da individui padroni di sé, del proprio mondo, del proprio tempo, in prede selvaggiamente cacciate, rincorse, uccise nei modi più brutali, catturate, rinchiuse in un carcere di paura infinita, stuprate… le ragazze: il corpo buttato su una camionetta nudo con le gambe spezzate, sotto i piedi dei predatori come animali uccisi nella giungla, un trofeo da mostrare; i pantaloni sporchi di sangue, afferrata per i capelli, ormai senza volontà, senza alcuna capacità di reagire, mortificata, spinta in una jeep con aguzzini che litigano tra loro… e quel cuore, che si sente fin qui battere all’impazzata, a cui fanno eco i cuori dei genitori, dei parenti, degli amici; la vittima che chiede ‘solo’ di tornare a casa, che mente su come è stata trattata, su una ferita al braccio che forse è invece una frattura… anche questa.

Che i nostri giovani si vedano anche loro in cammino verso una salvezza impossibile in mezzo alla polvere, tra scene di distruzione e rovine, con nelle orecchie il fragore delle bombe, dei crolli, delle urla, dei pianti, e negli occhi le immagini di morte, dei cadaveri nei sacchi bianchi o ancora insanguinati sotto le macerie, dei bambini in lacrime trascinati da madri disperate. Provare la fame, la sete, il terrore.

Che i nostri studenti abbiano la possibilità di liberamente discutere dei loro coetanei che in altre città d’Italia osannano Hamas come se fosse l’esercito di liberazione di quel popolo che da settant’anni, da quando gli è stata sottratta la terra su cui vivevano per un ‘diritto’ risalente a 19 secoli prima, è vittima di soprusi, vessazioni, ma soprattutto dall’indifferenza dei cosiddetti Paesi democratici che ancora non vogliono comprendere che ‘ci si salva insieme’.

Noi abbiamo il sogno che ovunque si manifesti sotto il segno di una pace che non fa distinzioni, che non è per pochi, che significa diritti universali universalmente riconosciuti per strappare ai signori della guerra un potere distruttivo che non ha confini, che incombe su ognuno di noi.

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